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Gobbi deve dimettersi (se davvero ama il Ticino)

Il caso è chiaro a tutti. Alcuni funzionari cantonali corrotti hanno rilasciato permessi aggirando le norme.

Sui social, fabbrica e spaccio di pensieri e derive sconclusionate, si è letto di tutto un po’: c’è chi sostiene con fermezza che Gobbi non debba dimettersi perché altrimenti i docenti pedofili dovrebbero portare alle dimissioni di Bertoli. A parte il fatto che due cose sbagliate non ne fanno una giusta, è opportuno considerare che quando emergono storie di poliziotti poco inclini al loro dovere, nessuno chiede le dimissioni di Gobbi. Qui non si tratta di fare di tutta l’erba un fascio o tracciare parallelismi pericolosi se non addirittura stupidi. In questo caso la gravità è immensa.

Per non perdere di vista l’essenziale va ribadito che Norman Gobbi è stato eletto dal popolo (ticinese) come rappresentante dei cittadini e del Ticino. Ha assunto la direzione del Dipartimento delle istituzioni, compendio di uffici e poteri attraverso i quali esercitare le funzioni per cui il popolo sovrano lo ha eletto. Da qui, siamo tutti d’accordo, non si scappa.

La crociata di Gobbi per richiedere il casellario giudiziale agli stranieri che presentano una domanda di permesso non va giudicata: può piacere o non piacere ma il ministro ha fatto ciò che ha ritenuto giusto, nel merito della ratio tra ciò che sa fare e ciò che può umanamente fare, e sarà il popolo sovrano a tirare le somme del suo operato. Una misura che diventa ridicola alla luce dei fatti appena emersi, resa ancora più ridicola dal ministro il quale, ai media, ha fatto sapere di essere furioso. Come se avesse ricevuto una coltellata alle spalle, una coltellata che lui stesso ha permesso che gli venisse inferta.

Tocca al direttore creare procedure di controllo laddove non ce ne sono, tocca al direttore migliorare le procedure esistenti, partendo dal presupposto che tutto è perfettibile. Tocca al direttore sedersi, ogni tanto, e fare autocritica. La politica del chiudere la stalla una volta che i buoi sono scappati non ha mai pagato e non si capisce per quale motivo dovrebbe farlo ora. Questa, in qualsiasi modo la si legga, è una forma di incapacità.

La facilità con cui questi signori hanno rilasciato permessi mostra che non ci sono procedure, all’interno degli uffici diretti da Gobbi, per la verifica dell’operato di chi copre ruoli delicati. Ognuno fa quello che vuole, come vuole e quando vuole. Il signor Gobbi siede su quella poltrona da due legislature: cosa ci vuole fare credere, che è colpa della gestione precedente? Così fosse, perché non ha corretto il tiro? In modo dispersivo e anche un po’ cialtrone, il ministro ha subito puntato il dito contro gli italiani (“è stato un errore assumere un italiano…”). No, signor ministro, è stato un errore lasciare buchi procedurali immensi, di cui lei è il solo responsabile.

Questa faccenda fa acqua da tutte le parti: Sollecito ha avuto un permesso (2013), Pulice ha avuto un permesso, quanti altri “non degni” ne hanno avuto uno? Il caso Pulice è decisamente più interessante ed è uno dei motivi per cui Gobbi deve dimettersi: ancora a novembre (perdio!) Gobbi sosteneva che non vi fosse un “permessogate”, nonostante Elio Romano, pm di Catanzaro che segue la costola italiana delle procedure penali a carico di Pulice, ritenesse quest’ultimo attendibile. Insomma, un pm esperto di mafia che conosce bene Gennaro Pulice lancia l’allarme, Gobbi fa finta di niente.

Però, quando si tratta di flussi migratori, Gobbi va a Roma a chiedere informazioni, suggerimenti e aiuto.

La verità che sembra emergere è questa: quando si tratta di chiudere i confini e di esercitare il proprio potere, allora la collaborazione con l’Italia è preziosa, quando la patata è bollente e mette in forse le istituzioni, allora gli italiani non sono affidabili.

Emerge anche un’incapacità sistemica di gestire il proprio dipartimento, che fa acqua da tutte le parti, anche perché Gobbi scarica responsabilità al posto di prendersele. Lo dimostra il fatto che ancora non si è dimesso.

Al netto delle boutade, delle frasi senza senso a cui il ministro ci ha abituato, cosa ha fatto il ministro per non ricoprire di ridicolo il Ticino? Questo signore voleva andare al Consiglio federale! Ma in virtù di quale capacità? A me piace(va) tanto il ciclismo, non per questo mi ritengo in grado di fare il Tour de France.

Ora, se il ministro Gobbi comprende che in due legislature non ha portato a casa un risultato apprezzabile, se comprende che la sua gestione così spaccona verso l’esterno e così limitata tra i muri del DI non è compatibile con l’interesse dei ticinesi e del Ticino, allora è doveroso fare un passo indietro affinché il Cantone ne faccia uno in avanti.

Se Gobbi ama il Ticino lo deve lasciare libero.

Apparso su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” il 12/02/2017

Ministro Gobbi, giù la maschera

È passata in sordina la notizia secondo cui il direttore del Dipartimento delle istituzioni ha istituito una task force per tutelare i dipendenti pubblici dal crescente numero di minacce a cui sarebbero sottoposti dalle utenze.

Fino a qui assolutamente nulla da eccepire. I dipendenti pubblici vanno tutelati, al pari di qualsiasi altra persona. La violenza, anche quella verbale, è esecrabile. Su questo siamo tutti d’accordo. Le eccezioni nascono a iosa quando si pensa al modo in cui le istituzioni interagiscono con i cittadini, ad alcuni dei quali vengono persino negati i diritti più elementari.

Questo non è un trattato contro i dipendenti pubblici tra i quali – giova ricordarlo – ci sono persone che riversano passione in ciò che fanno e si sentono (giustamente) orgogliosi di fare parte di un sistema che sa dare ottimi risultati.

Pensare invece che i cittadini siano tutti matti e che possano scagliarsi senza motivo contro la cosa pubblica è pericoloso per diversi motivi. Il primo è che l’introduzione di una task force è un passo pesante, una spallata energica ad una porta e che in genere, quando questa cede sotto il peso delle spinte, ne segue un’irruzione.

Se la task force non dovesse essere sufficiente, quale sarebbe il passo a seguire? Veicoli blindati per ogni dipendente minacciato? Scorta armata per gli spostamenti casa-ufficio? Uno scenario da guerra civile a cui solo una profonda impreparazione politica può prestare il fianco.

La task force a tutela dei dipendenti pubblici può assumere senso solo dopo che la task force a tutela dei cittadini bistrattati dalle istituzioni ha fallito miseramente. Ma a tutela dei cittadini non c’è nessuno.

Senza entrare troppo nel dettaglio ho letto un rapporto scritto da un’istituzione ticinese in cui veniva sminuita la figura professionale di un medico che sedeva in Gran consiglio, anch’egli membro delle istituzioni. Quindi, il lettore mi perdoni la ridondanza di termini, siamo al punto in cui le istituzioni si coprono di ridicolo screditando altre istituzioni nel tentativo di nascondere i propri errori.

E no, l’assetto giudiziario non si dimostra efficace, ho letto anche dei verbali in cui un pretore prendeva in giro un cittadino, consigliandogli di rivolgersi all’Onu. Ho letto lo strazio di un uomo che chiedeva di vedere i nipoti prima di morire, lettera rimasta morta sulla scrivania del funzionario statale che se ne sarebbe dovuto occupare.

Proprio in queste ore un cittadino svizzero dimenticato dallo Stato ha chiesto a Bellinzona di essere ricevuto. Inutile dire che nessuno gli ha risposto. Ho sentito con le mie orecchie dipendenti pubblici sbeffeggiare cittadini, alcuni in modo pesantissimo.

Tempo fa proprio lei, onorevole, mi ha detto di essere disponibile al dialogo.

L’anno scorso le ho chiesto di partecipare ad un dibattito pubblico e lei ha declinato. Qualche mese fa ho rinnovato l’invito e lei non ha risposto. Ora lo faccio di nuovo: una serata informativa aperta al pubblico durante la quale lei esporrà il suo punto di vista, i suoi dati e le sue opinioni e durante la quale potrà spiegare perché c’è bisogno dell’AViMPAS, perché ci sono cittadini rimasti intrappolati nella macchina istituzionale che si autoassolve e dorme sonni tranquilli e, infine, potrà anche spiegare perché nel 2013 il giudice Villa le ha ricordato che il mondo non è esattamente come lei lo dipinge.

Onorevole, dovrebbe tutelare in primis il popolo che ha scelto di rappresentare. E non sono solo i dipendenti pubblici ad avere votato per lei.

Apparso su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” 11/01/2017

E se creassimo impiego, invece di piangerci addosso?

Credo sia giunto il momento di guardare avanti, perché la politica ticinese non sta sfornando soluzioni valide né, tanto meno, è in grado di pianificare il futuro.

Non ho nessuna intenzione di rispolverare i numeri sull’impiego, sul sottoimpiego e sulla disoccupazione. Sono numeri che, in Ticino, hanno pochissimo valore perché oltre ad essere imbellettati, gli ammortizzatori sociali aggiungono lustrini capaci di brillare al buio. Una volta tolti trucco e paillettes, resta soltanto il buio.

La lotta al frontalierato è inutile, così come è inutile ‘Prima i nostri’. Sono due indicatori del caos politico e istituzionale, più concentrato ad accaparrarsi voti che a rendersi utile.

La poca propensione degli organi politici, e qui il riferimento non si ferma solo ai poteri legislativo ed esecutivo, alla pianificazione è spettrale. Parlano di “scelte poco popolari” riuscendo a rendere ancora più banali concetti poveri e iperinflazionati. La questione qui non è incontrare o meno il favore del popolo ma gestire una situazione delicata senza arrampicarsi sui muri. Albi, elenchi, registri, tasse, lotte e ‘Prima i nostri’ non servono a niente. E servono ancora meno se chi urla contro il frontaliere è il primo che si fa infinocchiare da un imprenditore che crea centinaia di posti di lavoro per tutti, tranne per i residenti. Non si può fare un torto al comune di Chiasso, al sindaco o alla Pantani: sono tutti figli di una pessima preparazione politica che pesava meno quando le cose andavano meglio e, ora, è diventata quella zavorra che impedisce al Ticino di mettere le ali.

Rendetevi conto che il Ticino è un posto (uno dei tanti) in cui chi critica viene messo al bando, in cui se osi contestare vieni tacciato di essere pazzo e in cui non mancano poliziotti poco ligi al dovere, giudici non irreprensibili ma, soprattutto, rendetevi conto che chi va a urlare a Berna rivendicando più peso per il Ticino, arriva senza merci di scambio e, soprattutto, sono gli stessi che al momento di tirare fuori gli attributi votano contro gli interessi dei ticinesi. Fino a quando non vi renderete conto che due decenni di Lega vi hanno ridotto con le pezze al culo, allora meritate la pochezza politico-istituzionale che vi sta affossando. E se qualcuno si sente offeso, allora si attacchi a Google e cerchi, al di là della stupida e piatta propaganda, quali iniziative e soluzioni sono uscite da Via Monte Boglia. Se il risultato si avvicina a zero non prendetevela con me.

‘Prima i nostri’ va cestinata. Perché non è controllabile (qual è la procedura per essere certi che un datore di lavoro abbia scandagliato il mercato del lavoro locale prima di assumere non residenti?) e perché non è applicabile. Un imprenditore sano di mente, se dovesse rispondere a imposizioni nell’assumere personale, chiuderebbe, senza neppure il bisogno delocalizzare fuori dall’Europa. Basterebbe spostarsi nel Canton Grigioni.

Ma, allora, cosa si può fare? La prima cosa è tirare una linea netta su quel che fu e concentrarsi su quello che sarà. In Ticino c’è una legge, la LInn, che è stata fatta più che male. Perché è piovuta dall’alto senza tenere conto delle reali esigenze del mercato, dell’innovazione e della mentalità che serve a farla proliferare. Questo è un altro male: mentre in Italia (la tanto odiata Italia) il governo ha chiesto a Diego Piacentini (numero due di Amazon) di guidare la crescita del digitale, in Ticino l’innovazione viene affidata a commissioni che ne sanno meno di pochissimo. C’è dell’altro… Renzi è riuscito a farsi prestare Piacentini gratis e il patron di Amazon, Jeff Bezos, ha pure ringraziato il premier. Un prestito “in virtù degli ottimi rapporti con l’Italia”. I politici ticinesi pubblicano sui propri canali social le foto della Stabio-Arcisate, ridendo della pochezza italiana. Ora qualcuno dirà che sono risate ben spese e non fa una piega, però non contribuisce a creare buoni rapporti.

Lo scorso luglio sono stata in Israele dove è stata inaugurata la partnership tra una società italiana e il governo israeliano per aiutare chi ha buone idee ad incubarle/accelerarle al fine di trasformarle in prodotti spendibili sul mercato. Qualche mese fa ho letto un thread su Facebook che parlava di questo argomento, un webete luganese rispondeva più o meno così: “ah, io questi incubatori li conosco benissimo, si fanno pagare per farti lavorare”. Ora, chiunque ha finito la terza asilo senza dovere ripetere l’anno capisce che “pagare per lavorare” è una coglionata. In realtà gli incubatori e gli acceleratori, ma qui il discorso è vario, investono un po’ di denaro nelle aziende che creano in cambio di una parte del capitale azionario. Uno dei tanti motivi per cui spingeranno sul mercato le imprese che hanno fatto nascere.

Ho parlato delle tante opportunità offerte dal Ticino e davanti alla possibilità di trasferircisi a patto di assumere solo personale residente, con un occhio aperto sui disoccupati e sui rapporti con Supsi e USI, nessuno ha avuto niente da obiettare, davanti ad un’imposizione fiscale del 20-22%, cioè quella naturalmente applicata alle aziende.

Incubatori, acceleratori e investitori hanno creato in Europa, negli ultimi 5 anni, più di 300mila posti di lavoro, per lo più in aziende che investono miliardi in ricerca e fanno miliardi di fatturato. Aziende che applicano politiche salariali degne e mettono i collaboratori al centro di numerosi benefit.

È successo in tutta Europa, tranne in Ticino. Perché mentre altrove si guardava al futuro, la politica e le istituzioni ticinesi facevano la caccia alle streghe con il passaporto italiano.

Fatevene una ragione. È soltanto colpa vostra se al governo avete gente che vi prende per i fondelli e proliferano quelli che “si fanno pagare per farti lavorare”.

La chiave per rilanciare economia e occupazione è una nuova imprenditoria, non quella vecchia. Ma chi in Ticino si dà da fare per promuoverne cultura e diffusione, è supportato malissimo da tutto il Palazzo.

 

Apparso su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” 4/12/2016

Gobbi, la smetta di prendersi in giro

Norman Gobbi è stato dal Papa. Bene. Notizia assolutamente insignificante. Anche il peggior uomo del mondo può chiedere un’udienza, perché non Norman Gobbi?

Quello che invece Gobbi non può fare è continuare a mentire a tutti, compreso se stesso.

Se non altro almeno ora siamo tutti certi che l’indipendenza Lega dei Ticinesi-Mattino non è vera. Perché per rispondere alle critiche che gli sono state mosse, il Ministro, ha scelto proprio di rivolgersi alla redazione di Via Monte Boglia.

Nella sua lunga e accorata lettera, il Direttore del DI sostiene che la sua visita in Vaticano sia stata criticata dai suoi avversari politici. Prima bugia. Ne hanno riso in molti, soprattutto persone che con la politica non hanno nulla a che fare.

Sono un uomo buono, ho cuore e sentimenti”, continua Gobbi. E poi via con le statistiche ‘alla leghista’, quelle senza fonte e senza citazione. Che Gobbi abbia la delicatezza che si auto-attribuisce lo si capisce dalla disinvoltura con cui si concede all’aritmetica, sfoderando percentuali e numeri. Le persone sono percentuali, numeri, frazioni e dividendi. Bene. Ne prendiamo atto.

Poi sostiene di essersi speso davanti alle autorità federali per difendere i “casi umani”, ma la stampa cattivona non dà il giusto spazio a queste botte di altruismo.

E qui si comincia a mostrare una certa insofferenza alla correttezza e alla sincerità: la stampa non dà neppure spazio agli strazi che le istituzioni (quelle che Gobbi dirige) infliggono alle famiglie. Non dà spazio al modo in cui una banda di individui senza sensibilità scherniscono anziani, applicano leggi senza logica e si spingono persino a non rispondere per anni ai cittadini.

Un paio di anni fa ho avuto uno scambio di email con Gobbi invitandolo persino a un pubblico dibattito, al quale ovviamente non ha voluto prendere parte.

In compenso, tanto per continuare a mentire, ha sostenuto che lui non potesse fare niente per intervenire nei casi “umanitari” generati dalle istituzioni che dirige perché, nel caso specifico delle Autorità Regionali di Protezione, sono i comuni che le ospitano ad avere pieno potere su queste. Eppure Gobbi sa bene che in uno scambio di email con l’ufficio giuridico del Comune di Lugano è emerso il contrario. Questa è una bugia detta da uno che sa di mentire e se ne frega.

Non c’è bisogno di scomodare il penoso caso dei bambini ecuadoriani, perché ci sono centinaia di cittadini ticinesi la cui vita è stata dilaniata senza motivo. Persino un uomo di 74 anni che ha lottato come un leone per potere vedere un’ultima volta i nipoti, in attesa che le istituzioni rispondessero alle sue richieste. È morto nell’indifferenza generale anche di quell’omone buono che usa la stampa amica per restituire di sé un’immagine completamente discosta da quella reale.

Ma, onorevole Gobbi, con queste sue uscite auto-promozionali, chi vuole prendere in giro? La parte più acritica del suo elettorato non la metterà mai in discussione, quella che non voterebbe per lei neppure sotto tortura non crede a ciò che dice e non sarà un meccanismo autoincensante a farle cambiare idea. Quindi rimane solo una possibilità: lei mente a se stesso.

Lei stesso in passato ha detto di essere sempre aperto allo scambio costruttivo. Però poi al momento giusto si sottrae, declinando ogni invito, e si nasconde dietro alla separazione dei poteri che sì, è vero, è in vigore dal 2013. Ma non c’è traccia del suo impegno antecedente a tale data.

Ora la invito di nuovo, questa volta pubblicamente, ad uno scambio costruttivo aperto al pubblico. Facciamo vedere ai ticinesi quanto è buono e sincero, oppure anche questa volta si limiterà a farmi dare della scema dal Mattino della Domenica, così staccato e distante dal partito in cui milita?

Apparso (senza link) su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” l’11/10/2016

Lasciate perdere il crocifisso

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Foto: images.fineartamerica.com

Non c’è nulla da fare. Sono passati mesi dall’ultima sterile polemica sul crocifisso. Qualcuno dice che va tolto perché offende le altre religioni, qualcuno dice che va tenuto per lo stesso motivo.

Come spesso accade ci si impantana sull’aspetto meno importante di una discussione e la volontà di avere ragione violenta la natura del problema.

Crocifisso sì o crocifisso no? La risposta più immediata è crocifisso sì, e questo perché chi crede ha il diritto di vederlo alle pareti delle scuole, delle case e dei ritrovi e chi non crede non dovrebbe provare nessun fastidio nel vederlo.

Ma se il crocifisso diventa spartiacque tra “noi” e “loro”, beh… allora va ripetuto il banale concetto secondo cui, chi davvero crede nel crocifisso e nel messaggio che contiene e trasmette, dovrebbe accettare “loro” proprio perché è il cristianesimo che lo chiede.

Imbarazzante quel manipolo di tizi che su Facebook hanno commentato: “sì, ma anche Gesù si è arrabbiato coi mercati nel tempio”. Non c’entra veramente nulla e comunque non ha mai impedito che vi entrassero.

Il Vangelo secondo Matteo (21-12) recita: “Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe”.

Il versetto però non finisce qui, c’è l’ultimo pezzetto (ignorato o volutamente omesso dai più) in cui Gesù richiama all’antico testamento. “La Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri”.

Chi si affanna a difendere il crocifisso ignora che Matteo narra di un Gesù arrabbiato con gli uomini che mercanteggiavano e non si sarebbe mai arrabbiato con gli stessi individui se si fossero raccolti in preghiera.

In altre parole, i difensori indefessi del crocifisso dovrebbero anche essere sostenitori accaniti del diritto di entrare nel tempio senza riserve, salvo poi riconoscere quelli che non meritano di accedervi.

Ma i “loro”, i migranti e i disperati, i “noi” preferiscono lasciarli morire sulle barche, sputare sulla vita umana, gioire quando qualcuno chiude i confini (e quindi l’accesso a qualsiasi tempio) senza dare peso al fatto che ciò non coincide con uno dei messaggi che il crocifisso rappresenta.

Neppure Dio avrebbe turlupinato se stesso, distorcendo uno dei pilastri del cristianesimo per soggiogarlo alla comodità dei propri punti di vista. Dio no, ma qualche uomo povero di spirito è disposto a sostituirlo sì.

Quindi, chi pensa che “loro” non hanno diritto di esprimersi sul crocifisso, sappia che è proprio in virtù di questo che hanno diritto di parola.

Nel Vangelo secondo Luca l’episodio del tempo è narrato con maggiore approfondimento tant’è che l’evangelista va ben oltre (19-47 e 48). “Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole”.

E chi fa del crocifisso l’emblema della perdita di valori indotta dall’immigrazione, dalle parole di chi pende? Come si può pretendere di conservare un dogma religioso se si è i primi a stuprarlo?

Lega deciditi, o sei complottista o sei garantista

La Lega è garantista o complottista? In Via Monte Boglia devono prendere una decisione, ne va della credibilità di tutto il partito.

Torniamo un attimo sul caso Bosia Mirra. Ha sbagliato, lo sa, non lo ha mai negato, pagherà. Il concertone mediatico avviato dalla Lega e dal suo organo di stampa è stato impietoso e pietoso. Scritto male (come al solito), ha toccato punti di elevata illogicità (come al solito) e si è concluso con un nulla di fatto (come al solito).

Per la Lega la signora Bosia Mirra è colpevole ancora prima che si sia giunti a sentenza. E chi crede che una condanna sia scontata dovrebbe leggersi i trattati e gli accordi sovranazionali che la Svizzera ha ratificato, oltre al codice penale che prevede anche la riduzione o l’esenzione dalla pena qualora l’imputato sia stato colpito oltremodo dal crimine (o presunto crimine) compiuto. Qui se la devono giocare gli avvocati e non di certo la Lega o le pregiatissime firme che scrivono su Il Mattino.

Questa è la Lega complottista: c’è del marcio ovunque (tranne in casa propria), chiunque agisce lo fa a danni del Cantone e dei ticinesi (tranne in casa propria) e chiunque dovesse avere un’idea diversa dalla loro deve essere sbeffeggiato e offerto al pubblico ludibrio (se non sai cosa significa clicca su “Ludibrio spiegato ai leghisti dalla Treccani”).

I casi Sirio Balerna (atti sessuali su fanciulli, mica paglia), i Panama Papers e Battista Ghiggia (“lo facevo perché lo facevano tutti”) e Asfaltopoli sono però sfuggite alle penne dei giornalisti leghisti e del partito che, se non altro nel caso di Balerna, ha chiesto le dimissioni a quello che era il primo cittadino di Chiasso; affrettandosi però a precisare che non ne sapeva nulla e dando così in pasto all’elettorato acritico un alibi mentale per continuare a votare Lega. “Non ne sapevamo nulla” è l’unica via d’uscita possibile, non credibile ma possibile. Poteva, la Lega dalla parte dei cittadini, sostenere che sapesse? Così, oltre a lavarsene le mani e rimettere tutto in mano alla giustizia (garantismo repentino) ha deciso di assolversi.

Quindi la Lega complottista soffre di schizofrenia, diventando garantista davanti agli individui come Balerna, davanti al signor Ghiggia e di fronte alla magrissima figura fatta da Borradori quando era ministro. Ciliegina sulla torta dei panni garantisti che la Lega è solita indossare, solo quando le fa comodo, l’idea dei deputati basilesi Tonja Zürcher e Beat Leuthardt di chiedere alla magistratura di aprire un procedimento penale contro Gobbi assai rischioso per tutta la Svizzera perché, in effetti, gli estremi per coinvolgere la Corte europea dei diritti dell’uomo ci sono tutti. Per i leghisti, questa volta rimessi gli abiti del complottismo, sarebbe la signora Bosia Mirra ad avere fatto fare una magra figura alla Confederazione Elvetica. La posizione della Lega in merito?  E quella de Il Mattino? Non pervenute (e, considerando l’abitudine legaiola a ridicolizzare il prossimo, forse è più dignitoso così).

Dare voti a questa Lega, a quella del post Giuliano Bignasca, significa disperdere potenziale e affidare il futuro a mani tremolanti e a idee poco chiare, corrette senza criterio a piacimento di pochi.

 

Le grosse grasse responsabilità de Il Mattino

Avvertenza: questo è un articolo lunghetto e serio. È articolato in tre punti. Se sei un leghista di quelli che usano le “k” e le “$” puoi leggere direttamente il terzo perché i primi due non potrai farli tuoi. Se sei un leghista e, oltre a stuprare la lingua italiana, sei convinto che Gobbi sia un politico di razza, puoi saltare direttamente al quarto punto.

Il mattino ha l’oro in bocca

Ci sono paesi in cui la situazione è ben più complessa di quella svizzera e ticinese. Senza entrare in discorsi macroeconomici o politici, ne cito tre: Germania, Inghilterra e Israele. A questo breve elenco si possono aggiungere senza sforzo almeno altri 20 tra stati e nazioni.

In questi paesi la stampa svolge ancora un ruolo responsabile, al netto dei giornalacci e dei giornalisti “asserviti a” perché ci sono ovunque. Il compito della stampa non è quello di forgiare opinioni, è quello di informare in modo neutrale, dando ad ogni lettore gli strumenti necessari a costruire un’interpretazione autonoma dei fatti. La stampa non ha neppure il compito di educare le coscienze, anche se è innegabile che fornire ad ognuno i mezzi per impiegare al meglio la propria corteccia cerebrale ha, come effetto collaterale, quello di pettinare coscienze e stati d’animo.

Quando nasce un fenomeno, quando si verifica un fatto, all’alba di un nuovo avvenimento, la stampa deve saperlo raccontare bene sin da subito. Questo è informare, questo è accompagnare le novità e renderle accessibili a tutti, distribuendo la cultura più adatta e trasparente per comprendere ciò che sta davvero accadendo.

ilmattinodelladomenicaperiphone_50e698113224a_fullIn Israele, in Germania e in Inghilterra le startup hanno avuto un successo roboante per diversi motivi, tra questi la buona informazione con cui i media hanno saputo posizionare questa nuova corrente. Non hanno parlato solo di questa o di quella startup, hanno parlato del fenomeno, facendo comprendere che cosa sarebbe servito al paese, quali strutture abilitanti avrebbero avuto un peso specifico nella crescita economica, chiedendo che gli operatori nazionali e i governi si impegnassero di più. Poi, ovviamente, nello scegliere uno storytelling di più ampio respiro, è stato dato spazio anche a molte delle singole startup, offrendo loro una vetrina pubblicitaria a costo zero. L’approfondimento in fin dei conti è questo: spiego nel dettaglio cosa sto dicendo – aggiungo due o tre esempi per avvalorare ciò che dico – chiudo con considerazioni neutrali che tendono al futuro. Tutto talmente facile che ci arriverebbe chiunque.

Il Mattino ha il cloro in bocca

Il Mattino, secondo o terzo organo di stampa ticinese per numero di lettori, al posto di spingere l’innovazione e fare leva su quello che il Ticino può offrire alla nuova imprenditoria (non c’è posto migliore al mondo, nemmeno la Silicon Valley) ha deliberatamente deciso di sputare odio ovunque, di chiudere il lettore in un recinto di

pochezza, di risentimento e di rabbia.

Così, mentre a Londra (50mila posti di lavoro), in Germania (primo hub europeo continentale, con oltre 100mila posti di lavoro) e Israele (indotto e impiego incalcolabili tanto sono iperbolici) crescevano a dismisura gli sbocchi, in Ticino si perdevano occasioni a bizzeffe, inseguendo l’uomo nero.

La sottocultura generata da Il Mattino (da chi lo fa e da chi lo legge con devota convinzione) ha spinto la fascia più acritica della popolazione a credere che Gobbi possa dare lezioni al mondo su come vietare il burqa. Nessuno ha pensato di mandare due colletti bianchi del governo a Londra, a Berlino o a Tel Aviv per prendere spunti su come rilanciare l’economia e l’impiego.

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Foto: atistoria.ch

La stessa sottocultura capace di convincere un manipolo di analfabeti funzionali che per Gobbi ci sarebbe stato posto al Consiglio federale e, caricato a molla, si è schierato contro quei media che hanno riportato la verità, evidenziando come per uno statista di tale rango non ci sarebbe stato posto in nessun altro Cantone, tantomeno a Berna.

Il Mattino ha contribuito a creare anche quella sottocultura secondo cui il Ticino è il Ticino e se il mondo non lo capisce, allora è un mondo ritardato.

Vox veritas vita. Vivere nel segno della verità, non accontentandosi delle ottusità mediatiche che vengono offerte a tutti noi da sedicenti giornalisti che lavorano in sedicenti redazioni e che fanno leva su quella parte di popolazione acritica, pronta a battere le mani a comando. Ovviamente in questo discorso si possono racchiudere una varietà di aspetti, non solo quello legato alle startup che qui viene riportato perché, mentre la Svizzera diventa un obiettivo per l’imprenditoria digitale, il Ticino resta al palo.

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Foto: blick.ch

Un esempio pratico. Swisscom è uno dei migliori operatori telefonici al mondo e offre un servizio di qualità che poche Telco riescono a offrire. L’impegno di Swisscom per spingere l’imprenditoria digitale è immenso e andrebbe enfatizzato, perché banda e comunicazioni sono alla base della piramide delle tecnologie abilitanti. Ecco quanto e quale spazio ottiene Swisscom sulle pagine de Il Mattino. I media dovrebbero dare spazio all’apporto di Swisscom all’imprenditoria innovativa, cosa che potrebbe attirare nuovi imprenditori (e, non sia mai!, creare impiego) e che darebbe un’ulteriore spinta alla compagnia, oggi al di fuori di ogni classifica dei migliori operatori, solo perché vengono stilate in base a fatturato, utili e valore di capitalizzazione. Una classifica bugiarda perché il peggior operatore telefonico indiano o cinese potrebbe risultare più importante di Swisscom.

Punto 3 (lo chiamo così perché sennò i leghisti devono usare le dita per contare)

Ora lo spiego anche ai leghisti più deboli: “Uella e pagüra”! Mentre la “Hitler-Merkel”, quella “faccia da uregiatt di Cameron” e i “Kompagni israeliani” credevano che si potesse creare impiego facilitando la nascita di imprese ad alto valore tecnologico e innovativo, noi altri della Lega (sempre dalla parte della gente) in oltre 20 anni non abbiamo fatto niente per il popolo che, però, continua a darci credito e continua a leggere quel settimanale lì, quello che facciamo solo per dare al Robbiani la possibilità di avvolgerci quella “terronaccia rigommata della Micocci prima di buttarla nel camino”. Alla faccia di quei “$inistroidi che non kapiscono niente e che spalancano le frontiere portando da noi malattie e delinquenza”. Ma “noi siamo padroni in casa nostra”. E se casa nostra è un monolocale vuoto e pericolante, amen. Se le cose non funzionano bene è colpa dei “fu partitoni, dei fuchi statali e dei governicchi precedenti”.

Il Mattino inchioda il Ticino e lo fa sguazzare nel fango, piuttosto che elevarlo e combattere per ciò che davvero merita.

Per Gobbi 12 su 30 = casi isolati

Il ministro ticinese Norman Gobbi, che chi legge questo blog sa essere incline alla menzogna, è al centro di una polemica minima a causa dei dodici militari svizzeri (ticinesi e grigionesi) trovati positivi all’uso di cannabis (7) e cocaina (5).

Dodici militari su trenta controllati per il ministro sono dei “casi isolati”.

Tanto isolati che sono del tutto passati inosservati alla stampa internazionale: qui ne scrive The Guardian, qui ne parla The Indipendent e qui invece il sito della BBC (testate un pochino più quotate de “Il Mattino della Domenica”).

Bellinzona

Al di là dell’eco mediatica, affidandoci all’aritmetica elementare, 12 soldati su 30 corrispondono al 40%. Casi isolati. Accetteremmo una simile affermazione se, ad esempio, un farmaco si dimostrasse inefficace per 4 persone su 10? Lo riterremmo valido? E diremmo che coloro i quali non trovano giovamento dalla cura sono “casi isolati”?

Ma non è tutto: il ministro fa appello alla “tolleranza zero“, probabilmente non sapendo che si tratta di un metodo sulla cui utilità ci sono ancora tanti dubbi e, a prescindere da ciò, si sposa meglio con i contesti anti-democratici.

Al netto di ciò sappiamo che le ARP non sono del tutto inclini alla liceità, che tra la Polizia Cantonale ci sono mele marce e che su queste la giustizia non interviene: ha fatto poco scalpore il caso del poliziotto cantonale espulso dal corpo per le sue attività truffaldine, attività che sono continuate anche in seguito e di cui non ha mai dovuto rendere conto perché, preso a rubare per l’ennesima volta, il giudice ha deciso di dargli “un’altra possibilità”. Sappiamo anche che l’esercito di milizia è fortemente viziato da attività illecite.

Quindi ARP, esercito, polizia e magistratura si dimostrano fallaci. E il ministro Gobbi, a capo del dipartimento che racchiude tutte queste organizzazioni / enti / istituzioni, parla di tolleranza zero. Ancora una volta Gobbi viene pizzicato fuori contesto e fuori luogo.

Il fatto è che i militari sono a Davos per garantire la sicurezza: c’è da chiedersi come questi “casi isolati” possano occuparsene (7 positivi alla cannabis, 5 alla cocaina, un milite in possesso di tre grammi di coca e, per non farsi mancare nulla, è partito anche uno sparo). Questo sfacelo dovrebbe indurre alla riflessione ma è evidente che Gobbi preferisce la reazione tosta perché lui, di responsabilità oggettive, non vuole proprio sentirne parlare. Sia chiaro, non è colpa del ministro se la società è quella che è ma essendo a capo del dipartimento che tutto sovraintende, non può limitarsi ad usare il pugno di ferro.

In attesa della replica stizzita del “domenicale” per eccellenza (che butac.it classifica tra i siti di “pseudo giornalismo”), ognuno rifletta per far suo, decidendo con il proprio cervello se il 40% sono casi isolati e se la cura è la tolleranza zero oppure se vale la pena fermarsi un attimo a riflettere.

 

 

 

Tre (semplici) domande sulle ARP

Sta facendo scalpore il caso dell’ARP 2 di Mendrisio, riportato da TIO.

In sintesi: una signora posta sotto tutela passa a miglior vita. Il tutore (che a me risulta essere una donna, ma ha di certo ragione TIO) presenta la sua parcella (15mila franchi, ovvero circa 15mila euro) per 4 mesi di prestazione. Questa somma viene prelevata dal conto corrente della defunta, all’insaputa dei famigliari e contro le norme che declinano agli eredi il compito di pagare il tutore. In questo caso l’ARP ha avallato il pagamento, sostituendosi così alla legge e agli eredi.

Al di là della somma che appare spropositata, c’è quindi un pesante strappo alle regole, tant’è che gli eredi si chiedono se ci siano gli estremi per adire le vie legali per “appropriazione indebita”.

L’ARP 2, come sempre fa chi non sa più come nascondersi, si trincera dietro al più retorico, classico e misero “no comment” mentre, essendo pubblica istituzione, dovrebbe prendere posizione e spiegare perché ha dato il benestare al pagamento e perché lo ha fatto in barba alle regole.

Questa storia, in realtà, puzza tanto di incompetenza e poco (se non pochissimo), di volontà di appropriarsi indebitamente di una somma di denaro. Uno dei tanti abusi compiuti dalle ARP che hanno due reazioni principali: l’indignazione di chi ne viene a conoscenza e l’indifferenza del Direttore del Dipartimento delle Istituzioni.

Chi difende i cittadini da chi dovrebbe difenderli?

Risulta tra l’altro che il tutore (tutrice?) abbia restituito parte della somma, ma non si sa di quale importo si stia parlando e, soprattutto, perché. Se un professionista emette fattura, di norma, lo fa a ragion veduta; emettere sconti o decurtarsi la parcella non è serio: se ha fornito un servizio che legittima la richiesta economica non si capisce perché debba essere disposto ad accontentarsi di meno. Questo punto non è chiaro.

Solito velo pietoso su Norman Gobbi che non ha preso posizione: del resto, dice lui, c’è la separazione dei poteri. Allora i webmaster del Cantone separassero anche le pagine (che non aggiornano da anni) che associano gerarchicamente le ARP come sussidiarie del Dipartimento delle Istituzioni.

La domanda è questa: se le ARP non sanno gestire una faccenda meramente amministrativa, come si può confidare in loro quando sono chiamate a gestire situazioni più complesse come quelle dei diritti genitoriali, spesso rese ancora più caotiche da avvocati ridicoli, genitori patetici e dalle stesse ARP, altamente al di sotto delle più basse aspettative?

L’altra domanda invece è questa: se gli eredi della defunta non avessero sollevato obiezioni, la curatrice avrebbe restituito il denaro?

La terza ed ultima domanda: le ARP, nate per difendere i cittadini, li difendono davvero o abusano della loro posizione pressoché incontrastata da organi di controllo risibili e magistratura inerte e immobile?