Ministro Gobbi, giù la maschera

È passata in sordina la notizia secondo cui il direttore del Dipartimento delle istituzioni ha istituito una task force per tutelare i dipendenti pubblici dal crescente numero di minacce a cui sarebbero sottoposti dalle utenze.

Fino a qui assolutamente nulla da eccepire. I dipendenti pubblici vanno tutelati, al pari di qualsiasi altra persona. La violenza, anche quella verbale, è esecrabile. Su questo siamo tutti d’accordo. Le eccezioni nascono a iosa quando si pensa al modo in cui le istituzioni interagiscono con i cittadini, ad alcuni dei quali vengono persino negati i diritti più elementari.

Questo non è un trattato contro i dipendenti pubblici tra i quali – giova ricordarlo – ci sono persone che riversano passione in ciò che fanno e si sentono (giustamente) orgogliosi di fare parte di un sistema che sa dare ottimi risultati.

Pensare invece che i cittadini siano tutti matti e che possano scagliarsi senza motivo contro la cosa pubblica è pericoloso per diversi motivi. Il primo è che l’introduzione di una task force è un passo pesante, una spallata energica ad una porta e che in genere, quando questa cede sotto il peso delle spinte, ne segue un’irruzione.

Se la task force non dovesse essere sufficiente, quale sarebbe il passo a seguire? Veicoli blindati per ogni dipendente minacciato? Scorta armata per gli spostamenti casa-ufficio? Uno scenario da guerra civile a cui solo una profonda impreparazione politica può prestare il fianco.

La task force a tutela dei dipendenti pubblici può assumere senso solo dopo che la task force a tutela dei cittadini bistrattati dalle istituzioni ha fallito miseramente. Ma a tutela dei cittadini non c’è nessuno.

Senza entrare troppo nel dettaglio ho letto un rapporto scritto da un’istituzione ticinese in cui veniva sminuita la figura professionale di un medico che sedeva in Gran consiglio, anch’egli membro delle istituzioni. Quindi, il lettore mi perdoni la ridondanza di termini, siamo al punto in cui le istituzioni si coprono di ridicolo screditando altre istituzioni nel tentativo di nascondere i propri errori.

E no, l’assetto giudiziario non si dimostra efficace, ho letto anche dei verbali in cui un pretore prendeva in giro un cittadino, consigliandogli di rivolgersi all’Onu. Ho letto lo strazio di un uomo che chiedeva di vedere i nipoti prima di morire, lettera rimasta morta sulla scrivania del funzionario statale che se ne sarebbe dovuto occupare.

Proprio in queste ore un cittadino svizzero dimenticato dallo Stato ha chiesto a Bellinzona di essere ricevuto. Inutile dire che nessuno gli ha risposto. Ho sentito con le mie orecchie dipendenti pubblici sbeffeggiare cittadini, alcuni in modo pesantissimo.

Tempo fa proprio lei, onorevole, mi ha detto di essere disponibile al dialogo.

L’anno scorso le ho chiesto di partecipare ad un dibattito pubblico e lei ha declinato. Qualche mese fa ho rinnovato l’invito e lei non ha risposto. Ora lo faccio di nuovo: una serata informativa aperta al pubblico durante la quale lei esporrà il suo punto di vista, i suoi dati e le sue opinioni e durante la quale potrà spiegare perché c’è bisogno dell’AViMPAS, perché ci sono cittadini rimasti intrappolati nella macchina istituzionale che si autoassolve e dorme sonni tranquilli e, infine, potrà anche spiegare perché nel 2013 il giudice Villa le ha ricordato che il mondo non è esattamente come lei lo dipinge.

Onorevole, dovrebbe tutelare in primis il popolo che ha scelto di rappresentare. E non sono solo i dipendenti pubblici ad avere votato per lei.

Apparso su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” 11/01/2017

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