Categoria: Uncategorized

Il rottamaio del giornalismo e le idiozie di Trump

Ci risiamo. Ed è grave per almeno tre motivi: il primo è l’indottrinamento astratto dei fedelissimi, quelli che, fosse possibile, lascerebbero istruzioni per votare Lega anche dopo la morte. Quelli che leggono il mattinonline e la domenica corrono verso la cassetta verde (quelli che ne prendono qualche copia in più per portarle ai vicini, credendo di fargli un favore e, magari, invece le usano come lettiere per i gatti). Il secondo motivo è lo svuotamento strutturale del Ticino, lasciando credere al popolo acritico che lo ha rovinato il partitume, precludendo alla terra più bella del mondo di sfruttare le innumerevoli possibilità che ha. Se guardi l’abisso, l’abisso ti guarda. Dovrebbe essere questa la tag-line del giornale di Via Monte Boglia.

Il terzo motivo è l’incancrenirsi del giornalismo, quello fatto comment il faut.

Di strafalcioni culturali e annichilimenti intellettuali il Mattino ne offre a sacchi. L’ultima, inaccettabile da ogni punto di vista, risale a domenica ed è il rilancio dell’ennesima puttanata proferita dal presidente americano eletto Donald Trump. Il tycoon ha sostenuto, in una lunga intervista alla Cbs, che costruirà il muro con il Messico (!) e che vuole espellere dal paese 2-3 milioni di stranieri con precedenti penali (!).

L’articolo o, meglio, la lapide al giornalismo è qui, su archive.is, perché questi signori non meritano nemmeno qualche click in più. Il pezzone da antologia titola “Trump fa sul serio: sì al muro con il Messico. E subito via 3 milioni di clandestini”.

Ora, i media di tutto il mondo hanno rilanciato le farneticazioni di Trump ma il Mattino ha fatto di peggio, perché se un sultano dell’Oman dicesse pubblicamente che il suo autista marocchino non gli piace, il giornalone della Lega titolerebbe qualcosa tipo: “fuori i magrebini dall’Oman, anche i sultani si sono svegliati!!!!”. Prendere una farneticazione e storpiarla senza usare il cervello, mettendo cacca nella testa del lettore, è proprio inaccettabile. Il Mattino prende una notizia impossibile e la usa per caricare d’odio e risentimento il fucile delle cazzate.

Peccato non avere a disposizione una risorsa web tramite la quale soddisfare le proprie curiosità e trovare risposte attendibili ufficiali… chessò… un motore di ricerca con un nome ispirato alla matematica, qualcosa tipo Google.

Perché se ci fosse un ipotetico motore di ricerca, che chiameremo Google, si sarebbe scoperto che negli Usa ci sono 11 milioni di clandestini (fonte PewResearchCenter) e che cacciarne 3 milioni sembra per lo meno utopico, servirebbe un rastrellamento che risale ad altre epoche.

Se questa semplice costatazione non fosse bastata (e, infatti, non basta), sempre facendo ricorso a questo ipotetico Google che qualche giorno qualcuno inventerà, si sarebbe potuto visitare l’ipotetico sito dell’Immigrazione americana, strumento più valido delle scellerate ipotesi dei giornalisti di via Monte Boglia, strumento che un professionista avrebbe dovuto consultare per scoprire che, nel periodo dal 2008 al 2015 si è proceduto all’espulsione di 2,8 milioni di clandestini. In 8 anni ne sono stati espulsi meno di quanti vorrebbe espellerne Trump nei prossimi 4 anni. Ciò conferma l’impossibilità di mantenere la promessa a meno che non venga attuato un vero e proprio rastrellamento, considerando che i clandestini costretti a lasciare il paese sono, di norma, quelli che le autorità hanno intercettato nel corso di indagini e non di certo frutto di una battuta di caccia porta a porta.

Un giornalista serio lo avrebbe specificato, limitandosi a rilanciare la notizia, senza usarla per dimostrare che anche Trump vuole alzare muri e cacciare gli stranieri.

Sono tre le cose che non accadranno: il muro si farà, verranno espulsi 2-3 milioni di clandestini, il Mattino diventerà un giornale.

Apparso su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” 16/11/2016

Lasciate perdere il crocifisso

gesu-donna-nera
Foto: images.fineartamerica.com

Non c’è nulla da fare. Sono passati mesi dall’ultima sterile polemica sul crocifisso. Qualcuno dice che va tolto perché offende le altre religioni, qualcuno dice che va tenuto per lo stesso motivo.

Come spesso accade ci si impantana sull’aspetto meno importante di una discussione e la volontà di avere ragione violenta la natura del problema.

Crocifisso sì o crocifisso no? La risposta più immediata è crocifisso sì, e questo perché chi crede ha il diritto di vederlo alle pareti delle scuole, delle case e dei ritrovi e chi non crede non dovrebbe provare nessun fastidio nel vederlo.

Ma se il crocifisso diventa spartiacque tra “noi” e “loro”, beh… allora va ripetuto il banale concetto secondo cui, chi davvero crede nel crocifisso e nel messaggio che contiene e trasmette, dovrebbe accettare “loro” proprio perché è il cristianesimo che lo chiede.

Imbarazzante quel manipolo di tizi che su Facebook hanno commentato: “sì, ma anche Gesù si è arrabbiato coi mercati nel tempio”. Non c’entra veramente nulla e comunque non ha mai impedito che vi entrassero.

Il Vangelo secondo Matteo (21-12) recita: “Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe”.

Il versetto però non finisce qui, c’è l’ultimo pezzetto (ignorato o volutamente omesso dai più) in cui Gesù richiama all’antico testamento. “La Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri”.

Chi si affanna a difendere il crocifisso ignora che Matteo narra di un Gesù arrabbiato con gli uomini che mercanteggiavano e non si sarebbe mai arrabbiato con gli stessi individui se si fossero raccolti in preghiera.

In altre parole, i difensori indefessi del crocifisso dovrebbero anche essere sostenitori accaniti del diritto di entrare nel tempio senza riserve, salvo poi riconoscere quelli che non meritano di accedervi.

Ma i “loro”, i migranti e i disperati, i “noi” preferiscono lasciarli morire sulle barche, sputare sulla vita umana, gioire quando qualcuno chiude i confini (e quindi l’accesso a qualsiasi tempio) senza dare peso al fatto che ciò non coincide con uno dei messaggi che il crocifisso rappresenta.

Neppure Dio avrebbe turlupinato se stesso, distorcendo uno dei pilastri del cristianesimo per soggiogarlo alla comodità dei propri punti di vista. Dio no, ma qualche uomo povero di spirito è disposto a sostituirlo sì.

Quindi, chi pensa che “loro” non hanno diritto di esprimersi sul crocifisso, sappia che è proprio in virtù di questo che hanno diritto di parola.

Nel Vangelo secondo Luca l’episodio del tempo è narrato con maggiore approfondimento tant’è che l’evangelista va ben oltre (19-47 e 48). “Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole”.

E chi fa del crocifisso l’emblema della perdita di valori indotta dall’immigrazione, dalle parole di chi pende? Come si può pretendere di conservare un dogma religioso se si è i primi a stuprarlo?

Lega deciditi, o sei complottista o sei garantista

La Lega è garantista o complottista? In Via Monte Boglia devono prendere una decisione, ne va della credibilità di tutto il partito.

Torniamo un attimo sul caso Bosia Mirra. Ha sbagliato, lo sa, non lo ha mai negato, pagherà. Il concertone mediatico avviato dalla Lega e dal suo organo di stampa è stato impietoso e pietoso. Scritto male (come al solito), ha toccato punti di elevata illogicità (come al solito) e si è concluso con un nulla di fatto (come al solito).

Per la Lega la signora Bosia Mirra è colpevole ancora prima che si sia giunti a sentenza. E chi crede che una condanna sia scontata dovrebbe leggersi i trattati e gli accordi sovranazionali che la Svizzera ha ratificato, oltre al codice penale che prevede anche la riduzione o l’esenzione dalla pena qualora l’imputato sia stato colpito oltremodo dal crimine (o presunto crimine) compiuto. Qui se la devono giocare gli avvocati e non di certo la Lega o le pregiatissime firme che scrivono su Il Mattino.

Questa è la Lega complottista: c’è del marcio ovunque (tranne in casa propria), chiunque agisce lo fa a danni del Cantone e dei ticinesi (tranne in casa propria) e chiunque dovesse avere un’idea diversa dalla loro deve essere sbeffeggiato e offerto al pubblico ludibrio (se non sai cosa significa clicca su “Ludibrio spiegato ai leghisti dalla Treccani”).

I casi Sirio Balerna (atti sessuali su fanciulli, mica paglia), i Panama Papers e Battista Ghiggia (“lo facevo perché lo facevano tutti”) e Asfaltopoli sono però sfuggite alle penne dei giornalisti leghisti e del partito che, se non altro nel caso di Balerna, ha chiesto le dimissioni a quello che era il primo cittadino di Chiasso; affrettandosi però a precisare che non ne sapeva nulla e dando così in pasto all’elettorato acritico un alibi mentale per continuare a votare Lega. “Non ne sapevamo nulla” è l’unica via d’uscita possibile, non credibile ma possibile. Poteva, la Lega dalla parte dei cittadini, sostenere che sapesse? Così, oltre a lavarsene le mani e rimettere tutto in mano alla giustizia (garantismo repentino) ha deciso di assolversi.

Quindi la Lega complottista soffre di schizofrenia, diventando garantista davanti agli individui come Balerna, davanti al signor Ghiggia e di fronte alla magrissima figura fatta da Borradori quando era ministro. Ciliegina sulla torta dei panni garantisti che la Lega è solita indossare, solo quando le fa comodo, l’idea dei deputati basilesi Tonja Zürcher e Beat Leuthardt di chiedere alla magistratura di aprire un procedimento penale contro Gobbi assai rischioso per tutta la Svizzera perché, in effetti, gli estremi per coinvolgere la Corte europea dei diritti dell’uomo ci sono tutti. Per i leghisti, questa volta rimessi gli abiti del complottismo, sarebbe la signora Bosia Mirra ad avere fatto fare una magra figura alla Confederazione Elvetica. La posizione della Lega in merito?  E quella de Il Mattino? Non pervenute (e, considerando l’abitudine legaiola a ridicolizzare il prossimo, forse è più dignitoso così).

Dare voti a questa Lega, a quella del post Giuliano Bignasca, significa disperdere potenziale e affidare il futuro a mani tremolanti e a idee poco chiare, corrette senza criterio a piacimento di pochi.

 

Tre (semplici) domande sulle ARP

Sta facendo scalpore il caso dell’ARP 2 di Mendrisio, riportato da TIO.

In sintesi: una signora posta sotto tutela passa a miglior vita. Il tutore (che a me risulta essere una donna, ma ha di certo ragione TIO) presenta la sua parcella (15mila franchi, ovvero circa 15mila euro) per 4 mesi di prestazione. Questa somma viene prelevata dal conto corrente della defunta, all’insaputa dei famigliari e contro le norme che declinano agli eredi il compito di pagare il tutore. In questo caso l’ARP ha avallato il pagamento, sostituendosi così alla legge e agli eredi.

Al di là della somma che appare spropositata, c’è quindi un pesante strappo alle regole, tant’è che gli eredi si chiedono se ci siano gli estremi per adire le vie legali per “appropriazione indebita”.

L’ARP 2, come sempre fa chi non sa più come nascondersi, si trincera dietro al più retorico, classico e misero “no comment” mentre, essendo pubblica istituzione, dovrebbe prendere posizione e spiegare perché ha dato il benestare al pagamento e perché lo ha fatto in barba alle regole.

Questa storia, in realtà, puzza tanto di incompetenza e poco (se non pochissimo), di volontà di appropriarsi indebitamente di una somma di denaro. Uno dei tanti abusi compiuti dalle ARP che hanno due reazioni principali: l’indignazione di chi ne viene a conoscenza e l’indifferenza del Direttore del Dipartimento delle Istituzioni.

Chi difende i cittadini da chi dovrebbe difenderli?

Risulta tra l’altro che il tutore (tutrice?) abbia restituito parte della somma, ma non si sa di quale importo si stia parlando e, soprattutto, perché. Se un professionista emette fattura, di norma, lo fa a ragion veduta; emettere sconti o decurtarsi la parcella non è serio: se ha fornito un servizio che legittima la richiesta economica non si capisce perché debba essere disposto ad accontentarsi di meno. Questo punto non è chiaro.

Solito velo pietoso su Norman Gobbi che non ha preso posizione: del resto, dice lui, c’è la separazione dei poteri. Allora i webmaster del Cantone separassero anche le pagine (che non aggiornano da anni) che associano gerarchicamente le ARP come sussidiarie del Dipartimento delle Istituzioni.

La domanda è questa: se le ARP non sanno gestire una faccenda meramente amministrativa, come si può confidare in loro quando sono chiamate a gestire situazioni più complesse come quelle dei diritti genitoriali, spesso rese ancora più caotiche da avvocati ridicoli, genitori patetici e dalle stesse ARP, altamente al di sotto delle più basse aspettative?

L’altra domanda invece è questa: se gli eredi della defunta non avessero sollevato obiezioni, la curatrice avrebbe restituito il denaro?

La terza ed ultima domanda: le ARP, nate per difendere i cittadini, li difendono davvero o abusano della loro posizione pressoché incontrastata da organi di controllo risibili e magistratura inerte e immobile?

La lungimiranza di De Maria

Il portale ticinese TicinoLive ha riproposto oggi un’intervista del 7 marzo 2015 a Orlando De Maria, attivo in politica e conoscitore delle ARP.

Non deve stupire che quanto pronosticato dal signor De Maria sia ancora attuale, deve stupire piuttosto che a Bellinzona praticamente nessuno se ne sia reso conto.

Qui l’intervista, buona lettura.

PS: Il Ministro Gobbi se l’è presa con me, dandomi dell’incapace, accusandomi di avere interessi personali e di scagliarmi solo contro l’ARP 8.

Poiché non è importante ciò che si dice ma chi lo dice, aspetto ancora le prove tangibili delle abilità di Gobbi (che da mesi sto cercando di raggiungere al telefono, senza successo). Probabilmente questo significa essere bravi.

E i ministri non rispondono…

Né Gobbi né Beltraminelli rispondono… la domanda è semplice: come può lo Stato rovinare un’intera famiglia permettendo a cittadini poco inclini all’onestà di fare uso privato delle forze di polizia, permettendo a membri ARP di commissionare perizie dall’esito scontato, accettare referti fatti al buio e senza alcun principio scientifico, separare due anziani dopo una vita insieme, minacciare persone?

Come può il Consiglio di Stato non muovere un dito sapendo che ci sono persone che cambiano distretto, Cantone e persino nazione per sfuggire alle ARP? I profughi non sono solo i disperati sui barconi.

Perché il Consiglio di Stato non interviene? (Si accettano risposte ipotetiche)

Dalla settimana prossima pubblicherò la storia della famiglia Bianchi, storia che Beltraminelli e Gobbi conoscono benissimo e, per motivi che spiegheranno alla Magistratura, non muovono un dito.

Probabilmente hanno chiesto parere agli avvocati dello Stato, tra le cui fila c’è (e pagate voi) quello che è riuscito a fare avere un risarcimento al querelato, nel famoso (e ilare) caso in cui Gobbi non si è accontentato della sentenza di primo grado che gli dava ragione.

L’ARP 15 affonda la spada: il neonato non vedrà mai casa sua

È nato il 9 giugno e sta benone. È un bellissimo bimbo. Mamma e papà però hanno il cuore a pezzi: gli hanno preparato una bella cameretta, in una casa spaziosa, pulita e ben tenuta. Il piccolo, però, nel suo lettino non ci dormirà. Mai.

L’ARP 15 ha deciso di separare il piccolo dai genitori, e di farlo subito, perché il distacco sarà inevitabile. Perché? Il gruppo STOPARP Ticino sta raccogliendo le prime informazioni, quindi sbilanciarsi è prematuro.

Il bimbo non ha mai lasciato la clinica in cui è nato, la madre uscirà oggi è il piccolo resterà lì. È entrata con il pancione, esce a mani vuote.

Supponiamo, ovviamente per linee teoriche poiché la storia è ancora fumosa, che uno o entrambi i genitori rientrino nel calderone delle “persone a rischio” (di cosa non si sa). Supponiamo che l’ARP 15 abbia tutte le ragioni di temere per la salute del bimbo – ma questa al momento è solo una teoria – e che la misura non sia del tutto fuori luogo.

Supponiamo, e qui non siamo più nell’insieme delle teorie, che prima di dividere un figlio dai genitori debbano essere state attuate una serie di misure atte a scongiurare una rottura definitiva, misure che in questo caso non possono essere state nemmeno concepite, dal momento che il bimbo non ha ancora compiuto la sua prima settimana di vita.

Supponiamo, uscendo anche in questo caso dalla teoria, che lo Stato debba limitare la propria ingerenza nella vita delle persone, così come deciso dal Tribunale Federale e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e, alla stessa stregua, supponiamo che esistono una quantità impressionante di misure di accompagnamento intermedie sulle quali l’ARP 15 non si è nemmeno soffermata.

La necessità di dividere immediatamente il bimbo dai genitori perché sarà inevitabile farlo in futuro è una mazzata in pieno volto alla fiducia che lo Stato deve a tutti i cittadini e allo scopo dello Stato stesso. Se questa è la linea di pensiero delle istituzioni, allora l’ARP 15 si dimetta in toto, perché è inevitabile – fosse anche con il pensionamento – che chi ci lavora oggi prima o poi dovrà distaccarsene.

Supponiamo anche che il Governo taccia, avallando quindi quelle che sembrano misure scriteriate, e che la popolazione rimanga inerme davanti a questi orrori.

Ora togliete ogni supposizione, perché questa è una storia vera e sta succedendo ora, a Giubiasco.

E se l’ARP 15 non ha messo in atto le misure necessarie (previste dal diritto internazionale) e se l’ARP 15 ha ordinato una perizia senza relativa contro-perizia, e se l’ARP 15 non ha vagliato altre misure meno drastiche, allora la soluzione è una e una sola: tutti a casa.

Le reazioni sui social

Su invito di Orlando De Maria ed Orlando Del Don, molti ticinesi stanno inviando un’email all’ARP 15 chiedendole di rivedere questa presa di posizione. Aleggia un sentimento di sdegno ed incredulità e sono poche le persone che si chiedono come mai il perché di questa separazione; arrivano da ogni parte – anche dall’Italia – messaggi di sostegno alla famiglia del bimbo.

———————

Questo è il testo che cittadini hanno inviato via email all’ARP 15. Chiunque può unirsi inviando questo testo e/o personalizzarlo come ritiene più opportuno.

Indirizzo email: arp15@giubiasco.ch

Oggetto: Giù le mani dalla famiglia di Petra Poretti

Egregi Signori,
apprendo con stupore che a Petra Poretti verrà sottratto il figlio, in nome di un “supremo interesse”, quello del minore, che non può subire torto maggiore della innaturale divisione dai genitori biologici.
Qualunque sia il motivo che spinge la Lodevole ARP 15 ad agire in tale senso, si tratta di una palese illegalità alla quale il buon senso offre una variegata serie di alternative che vanno dall’accompagnamento sociale all’affiancamento di esperti che possano aiutare la madre a svolgere in modo esemplare i suoi compiti.
Mi dissocio da questo modo di agire e, qualora nascesse un’azione congiunta patrocinata dai cittadini del Cantone Ticino tesa a fare rientrare questa discutibile decisione, vaglierò l’ipotesi di aderirvi.
Grazie per l’attenzione, cordiali saluti.

Le risposte dell’Onorevole Gobbi

Il 12 febbraio sono state inviate all’Onorevole Gobbi, alcune domande circa l’operato delle Autorità Regionali Di Protezione (ARP), quelle che nonostante il Ministro neghi, finiscono con buona periodicità sugli organi di stampa locali a causa di decisioni assurde.

Queste le domande:

Con buona regolarità l’operato delle ARP balza agli onori della cronaca, suscitando incredulità da parte dell’opinione pubblica.

A questa affermazione l’Onorevole decide di non rispondere.

Perché, in Ticino, né le ARP né le Preture si allineano alle direttive date dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, al contrario di come già da tempo avviene in altri Cantoni?

A simili domande, formulate in modo particolarmente generico e non comprovate da una specifica documentazione mi è impossibile rispondere. Anche il riferimento sommario ad altri Cantoni (gradirei sapere quali) non aiutano certamente ad affrontare seriamente la situazione particolare di limitati casi che – a differenza di quanto da lei affermato – non sono balzati agli onori della cronaca, ma sono lo specchio di situazioni umane decadute in conflitti famigliari dove a farne le spese sono i più piccoli. Non dobbiamo poi dimenticare che le autorità regionali di protezione si occupano anche del resto dei casi sottoposti al diritto di protezione e non solo ai diritti di visita di famiglie divorziate.

NDR: Il “Mattino Online”, organo di stampa del Partito dell’Onorevole Gobbi, titolava stridulo che il Giudice del Tribunale di Appello (che faceva capo al Dipartimento diretto da Gobbi) ha dichiarato che in caso di PAS il diritto di visita può essere soppresso. Le direttive CEDU (ratificate dalla Svizzera) prevedono che in caso di PAS e mobbing l’affidamento dei minori vada sovvertito, come infatti deciso dal Tribunale Cantonale di Lucerna con una sentenza pubblicata anche sul sito dell’Associazione Genitori Non Affidatari (AGNA) con la quale il ministro Gobbi dice di collaborare in modo costruttivo da anni. Appare evidente che l’onorevole Gobbi non abbia in mano le redini della situazione e preferisce ridicolizzare domande lecite. Accetto in ogni caso che con queste risposte il Ministro voglia sottintendere (neppure troppo) all’impreparazione di chi le ha formulate. Accetto anche che le risposte non lascino trasparire una maggiore preparazione.

Quanto è tollerabile che un’ARP affidi incarichi di approfondimento ad amici dei propri membri?

Qualora dovesse essere il caso non posso che affermare: è deprecabile. Anche qui, sinora, non sono giunte segnalazioni al Dipartimento, cui – ricordo – non compete la vigilanza sull’operato ma funge spesso da porta d’accesso alla Camera di protezione del Tribunale d’appello cantonale.

NDR: anche in questo caso la risposta è elusiva. Al Dipartimento dell’Onorevole Gobbi è stato segnalato un caso palese, reso ancora più grave dal fatto che, nel giustificare la scelta, il membro dell’ARP ha sostenuto (per iscritto) di non avere avuto trascorsi con il titolare dell’approfondimento. Mandato eseguito male, senza il supporto di test diagnostici, comunque preferito ad un altro approfondimento svolto secondo i dettami della medicina e che ha dato responso del tutto divergente dal primo. 

Come si giustifica che – da quanto mi è stato possibile stabilire – le ARP non applichino i regolamenti (segnatamente LTut e RTut) ad esempio quando il Presidente né il suo supplente partecipano alle udienze o quando non trasmettono alle parti tutti i documenti necessari per opporsi alle decisioni prese (tanti, troppi casi) o, ancora, quando per anni non rispondono ai cittadini o li dileggiano?

Non dispongo di elementi che possano comprovare la veridicità degli esempi da lei riportati in questa domanda. In generale, è pacifico che anche le autorità di protezione devono rispettare le leggi e le procedure. Se commettono errori nell’adozione delle decisioni, vi sono i rimedi giuridici; inoltre soggiacciono alla vigilanza della Camera di protezione per il loro comportamento.

NDR: Ho diverse email inviate da cittadini e curatori all’Onorevole Gobbi in cui si denunciano apertamente casi di questa natura. Ciò nonostante il Ministro non dispone di elementi.

Sono sempre di più i curatori e i tutori che dimostrano insofferenza nei confronti dell’operato delle ARP anche (e non solo) a causa di quelle che dichiarano essere decisioni discutibili. Qualche lamentela è arrivata fino a lei?

Che la situazione attuale non sia ottimale è risaputo: il recente messaggio governativo
n. 7026 del 23 dicembre 2014, a cui ho fatto esplicito riferimento rispondendole alcuni giorni fa, pone proprio l’obiettivo di introdurre un’organizzazione che possa migliorare il funzionamento delle autorità di protezione, la qualità delle loro decisioni e degli interventi. La proposta va nel senso di rafforzare la via giudiziaria ancorando le autorità di protezione alle Preture distrettuali, aumentando le risorse a disposizione; ricordo come ora le ARP siano emanazione dei Comuni ticinesi.

NDR: Il messaggio governativo 7026 – che può essere valutato come un buon lavoro nella direzione giusta – ha più di un’area oscura: a pagina 5 si legge, ad esempio, che “Il delegato del Comune deve avere competenze particolari, che permettano di ritenerlo particolarmente idoneo all’assunzione della funzione di membro dell’autorità di protezione si è rinunciato a fissare requisiti specifici”. Insomma, deve avere dei requisiti di idoneità ma non si sa quali.

Le risulta che membri delle ARP (permanenti, delegati e segretari) siano titolari di dossier, ovvero che svolgano anche funzione di tutore e/o curatore?

Non ho mai ricevuto segnalazioni di questo genere.

Al 30 giugno 2014 le ARP 3 e 8 (entrambe di Lugano) avevano più casi – in proporzione – di altre omonime autorità che servono bacini d’utenza più o meno simili (la 1, la 2, la 6 e la 15).

È lapalissiano che nelle aree fortemente urbanizzate il ricorso alle ARP sia più frequente rispetto ad altre zone, e lo era già in passato. La scelta del Gran Consiglio di “professionalizzare” i Presidenti ARP voleva proprio dar seguito ad aumentare la capacità di evasione dei casi e delle domande pendenti, ma il sistema ha i suoi limiti nell’ingranare ed è per questo che abbiamo proposto al Parlamento di adottare la via giudiziaria dal 2018.

NDR: È lapalissiano che “in proporzione” significhi altro. Il messaggio 7026 evidenzia peraltro come il numero di casi delle citate ARP sia anomalo.

Le risulta che alcune ARP tendano ad escludere curatori e tutori che sollevano obiezioni davanti a decisioni e comportamenti delle ARP stesse ritenuti “illegittimi”?

Ogni tanto, e non l’ho mai nascosto, ho ricevuto delle lamentele riguardo alle modalità “operative” delle  ARP ma quella che mi evidenzia nella sua domanda mi giunge del tutto nuova!

NDR: Il Ministro è in possesso di un documento che attesta come un’ARP abbia sostenuto di dovere rimuovere un tutore a causa delle lamentele della persona “accompagnata” dal tutore stesso. Questa persona scrive invece che si trova molto bene con il tutore e che preferirebbe non cambiare. Il tutore è messo in discussione dall’ARP perché ritenuto “scomodo”, si tratta infatti di un tutore ligio al dovere che pretende lo stesso comportamento dall’ARP.

Infine, perché il Direttore del Dipartimento delle Istituzioni non ha mosso d’ufficio gli organi competenti per fare chiarezza?

Il Dipartimento è oramai da alcuni anni che ha posto tra le sue priorità l’esame del funzionamento delle ARP e la ricerca di una soluzione organizzativa efficace. A conferma di questa mia affermazione la rinvio ai contenuti del messaggio governativo n. 7026 del 23 dicembre 2014 in materia di protezione del minore e dell’adulto che prevede pure delle proposte legislative per la riorganizzazione del settore.

Inoltre, spesso cittadini trovatisi davanti a malfunzionamenti delle ARP si sono rivolti al Dipartimento e ho sempre prontamente segnalato la situazione alla Camera di protezione, la quale ha comunque espresso pareri molto critici sul funzionamento delle ARP, che ricordo sono oggi emanazione dei Comuni, e che col messaggio governativo più volte citato vogliamo correggere.

NDR: La Camera di protezione, il cui operato è serioso e competente, prevede che venga versata una tassa di accesso che poche persone oggigiorno possono permettersi di versare. Se il ministro segnalasse alla Procura gli atteggiamenti poco trasparenti delle ARP, si potrebbe fare un grande passo avanti. 

Otto giorni. Tanto c’è voluto per avere risposte a domande che sono state definite, dal Ministro stesso, “superficiali”.

E mentre scarica responsabilità e fornisce risposte fumose, ci sono anziani separati dopo 50 anni di vita insieme, figli che non sanno nulla dei genitori e bambini strappati alle famiglie. Perché le ARP permettono qualsiasi bassezza, dall’abuso di ufficio alla volontaria infrazione delle leggi che per primi devono rispettare.

Questo è quanto. Ognuno tragga le proprie considerazioni.

Sono disposta a pubblicare le email a cui faccio ampio riferimento in questo post, attendo l’autorizzazione da parte di chi le ha scritte.

 

Lavorare per Apple? Un sogno per chi cerca impiego, un incubo per chi ci lavora

Apple, insieme ad altri giganti della Silicon Valley, figura sempre in cima agli elenchi dei datori di lavoro più ambiti.

Ma, una volta assunti, è davvero l’impiego da sogno che ci si immagina da fuori? A quanto pare no. Lo dice chi l’azienda la vive quotidianamente dall’interno. Il tutto però va soppesato su una bilancia: i lati positivi ci sono; lavorare a Cupertino (o per Cupertino) da’ la possibilità di confrontarsi con un numero elevato di menti eccelse e, alla fine dell’avventura presso Apple, l’averci lavorato da’ smalto a qualsiasi curriculum. Tutto questo però ha un prezzo piuttosto elevato, un prezzo che va pagato con il sudore e la dedizione, in alcuni casi, come quello di Robert Bowdidge, di totale abengazione.

Bowdidge racconta del suo rapporto con la moglie, messo a dura prova dal suo impiego a Cupertino. L’uomo lavorava fino a tarda notte senza potere raccontare nulla alla consorte, “rea” di lavorare per IBM. In occasione di viaggi di lavoro per Mister Bowdidge vigeva il divieto assoluto di farsi accompagnare dalla moglie.

Richard Francis, impiegato Intel, ha lavorato con un distaccamento di risorse Apple per un progetto congiunto. Parla di “un controllo aziendale pesante”, una governance estrema che crea tensione soprattutto tra manager. Di controllo parla anche una fonte anonima, un impiegato che preferisce non rivelare il suo nome; da quanto riporta appare che a Cupertino regna sovrano il settore marketing, capace di vietare oppure promuovere iniziative nate in altri settori. E questo è un caso tanto atipico quanto esemplare: in un’azienda comanda, di norma, il commerciale. E’ lui che incamera quattrini ed è lui che impera. Apple non ha bisogno di un’imponente comparto dedito alla vendita, i prodotti con la Mela si vendono da soli… e questo grazie al marketing.

Un altro anonimo parla di un’altra forma di controllo, meno appariscente ma non meno bloccante: paranoia diffusa tra i dipendenti, sgambetti e mancanza di rispetto reciproche e orari di lavoro massacranti sono la cultura aziendale, stando a quanto riporta. E’ diffusa la teoria secondo cui chi si lamenta può essere facilmente sostituito. L’anonimo lancia un monito: “lavorate per Apple a vostro rischio e pericolo, le uniche cose positive sono la possibilità di vestire casual e la mensa in cui si mangia bene”.

Jordan Price, designer, parla di orari di lavoro rigidissimi e intensi: “non vedo mia figlia durante la settimana a causa degli orari di lavoro per niente flessibile”. La Price, pure di entrare alla corte di Re Cupertino ha accettato una diminuzione di stipendio, in cambio del prestigio di lavorare per Apple, scelta che rimpiange anche alla luce delle frequentissime riunioni che rompono il ritmo di lavoro.

La sede faraonica e avanzata di Cupertino, chiamata “Infinite Loop Campus”, pure essendo la location rappresentativa non è l’unica: lo dice Owen Yamuachi, che ha lavorato in una sede dislocata a Vallco Parkway, a pochi chilometri da Cupertino: un posto in cui non c’è nessuna delle comodità che gli impiegati trovano nel Capus di Apple, una sede buia, con corridoi stretti, soffitti alti e uffici singoli per tutti. Il lato positivo è quello dell’elevata privacy che permette di concentrarsi, quello negativo – come riporta Yamuachi – è quello di passare giornate intere senza parlare con chicchessia.

Uno sviluppatore anonimo, che dice di avere lavorato al primo iPad, racconta che era stata predisposta una stanza apposita per lui e i suoi tre colleghi, gli unici autorizzati ad accedervi. I tablet erano incatenati alle scrivanie e i collaboratori scelti hanno dovuto subire uno screening approfondito.

La questione stipendi è un nodo: le persone che hanno raccontato la loro esperienza professionale a Cupertino parlano di retribuzioni più basse della media, perché il management  sa quale impatto può avere Apple sul curriculum vitae di chi ci ha lavorato. E questo riguarda tutti, anche i dipendenti dei negozi di proprietà.

 

Addio Windows XP, cosa fare e come farlo

Dopo 12 anni XP va in pensione. Le ultime sono state settimane di eccessivo allarmismo generalizzato, sarebbe invece necessario fare un po’ di chiarezza laddove impera il caos.

Il problema riguarda soprattutto le aziende, poi e solo poi i privati che però vanno scissi in diverse categorie.

Dal canto suo Microsoft ha fatto il proprio dovere: ha annunciato la fine del supporto con abbondante anticipo sfruttando i media e i propri canali, con tanto di sito apposito (www.windowsxp.it).

Cosa significa “fine del supporto”?
I PC con Windows XP continueranno a funzionare (se non sai quale versione di Windows hai, puoi consultare questa pagina); col passare del tempo possono prestare il fianco a vulnerabilità e virus perché il sistema operativo non verrà più aggiornato. Ciò significa che Microsoft non metterà più le classiche “pezze” alle falle riscontrate. Nel frattempo produttori di hardware e software si concentreranno su altre versioni dei sistemi operativi Microsoft (quindi Windows 7, 8 e 8.1) facendo sì che programmi e periferiche non funzioneranno più con Windows XP.

Cosa cambia per le aziende
Nel mondo del business si registra il più alto tasso di panico che, giustificato o meno, va puntualizzato. La fine del supporto di Windows XP non coincide, in modo piuttosto curioso, con la fine del supporto esteso di Windows 2003 Server che continuerà ad essere mantenuto in vita dagli aggiornamenti fino all’estate del 2015. Correre a sostituire il sistema operativo dei PC per lasciare aperte ai malintenzionati le porte dei server appare cosa poco buona e saggia. Tuttavia il passaggio a Windows 8 potrebbe non essere del tutto indolore; il primo grosso limite del “post 8 aprile” è l’interfaccia grafica di Windows 8, tanto diversa da quella di XP: uno stravolgimento che può disorientare gli utenti meno avvezzi all’uso delle tecnologie. L’acquisto di nuovi PC ha comunque il merito di diminuire, almeno in linea teorica, i costi sostenuti per la manutenzione dei vecchi computer.

Cosa cambia per i privati
Gli utenti più smanettoni (come li chiama Google) hanno di certo già abbandonato XP da tempo e con buona regolarità cambiano personal computer, per loro quindi il problema non esiste; coloro i quali fanno un uso meno massiccio del PC (email, navigazione e un utilizzo minimo di Office) potrebbero non avvertire, sul breve periodo, la necessità di lasciarsi XP alle spalle. Anche per questi ultimi la strada appare però tracciata e, presto o tardi, dovranno arrendersi all’idea di migrare verso lidi informatici più moderni.

Cambiare o aggiornare?
Ad oggi è possibile acquistare un PC (fisso) con Windows 8 a partire da 300 euro circa. Chi possiede un PC con Windows XP deve, con ogni probabilità, sostituirne il disco fisso e aggiungere RAM, considerando che ad XP per funzionare ne bastano 512 MB e che per usare Windows 7 ne sono consigliati almeno 2 Giga (che diventano almeno 4 con Windows 8). Il costo di hard disk e RAM è piuttosto contenuto, si tratta di hardware che può essere acquistato con un centinaio d’euro. A questa somma (considerando il processore sufficientemente potente per ospitare un nuovo sistema operativo) vanno ad aggiungersi i 119 euro del sistema operativo.

Migrare i dati
Ma come migrare i dati dal vecchio al nuovo PC? Tra i diversi metodi esistenti, Microsoft mette a disposizione un tool gratuito che si fa carico di completare la migrazione.

In conclusione, attorno alla fine del supporto di XP si sta creando un caso come accadde nel 2000, con il famoso “millenium bug”, passato quasi in sordina. Sia chiaro, continuare ad usare XP non è esente da rischi, ma nulla si bloccherà a partire dal 9 aprile. E’ comunque giunto il momento di mandare definitivamente in pensione un sistema operativo di 12 anni fa.