Credo sia giunto il momento di guardare avanti, perché la politica ticinese non sta sfornando soluzioni valide né, tanto meno, è in grado di pianificare il futuro.
Non ho nessuna intenzione di rispolverare i numeri sull’impiego, sul sottoimpiego e sulla disoccupazione. Sono numeri che, in Ticino, hanno pochissimo valore perché oltre ad essere imbellettati, gli ammortizzatori sociali aggiungono lustrini capaci di brillare al buio. Una volta tolti trucco e paillettes, resta soltanto il buio.
La lotta al frontalierato è inutile, così come è inutile ‘Prima i nostri’. Sono due indicatori del caos politico e istituzionale, più concentrato ad accaparrarsi voti che a rendersi utile.
La poca propensione degli organi politici, e qui il riferimento non si ferma solo ai poteri legislativo ed esecutivo, alla pianificazione è spettrale. Parlano di “scelte poco popolari” riuscendo a rendere ancora più banali concetti poveri e iperinflazionati. La questione qui non è incontrare o meno il favore del popolo ma gestire una situazione delicata senza arrampicarsi sui muri. Albi, elenchi, registri, tasse, lotte e ‘Prima i nostri’ non servono a niente. E servono ancora meno se chi urla contro il frontaliere è il primo che si fa infinocchiare da un imprenditore che crea centinaia di posti di lavoro per tutti, tranne per i residenti. Non si può fare un torto al comune di Chiasso, al sindaco o alla Pantani: sono tutti figli di una pessima preparazione politica che pesava meno quando le cose andavano meglio e, ora, è diventata quella zavorra che impedisce al Ticino di mettere le ali.
Rendetevi conto che il Ticino è un posto (uno dei tanti) in cui chi critica viene messo al bando, in cui se osi contestare vieni tacciato di essere pazzo e in cui non mancano poliziotti poco ligi al dovere, giudici non irreprensibili ma, soprattutto, rendetevi conto che chi va a urlare a Berna rivendicando più peso per il Ticino, arriva senza merci di scambio e, soprattutto, sono gli stessi che al momento di tirare fuori gli attributi votano contro gli interessi dei ticinesi. Fino a quando non vi renderete conto che due decenni di Lega vi hanno ridotto con le pezze al culo, allora meritate la pochezza politico-istituzionale che vi sta affossando. E se qualcuno si sente offeso, allora si attacchi a Google e cerchi, al di là della stupida e piatta propaganda, quali iniziative e soluzioni sono uscite da Via Monte Boglia. Se il risultato si avvicina a zero non prendetevela con me.
‘Prima i nostri’ va cestinata. Perché non è controllabile (qual è la procedura per essere certi che un datore di lavoro abbia scandagliato il mercato del lavoro locale prima di assumere non residenti?) e perché non è applicabile. Un imprenditore sano di mente, se dovesse rispondere a imposizioni nell’assumere personale, chiuderebbe, senza neppure il bisogno delocalizzare fuori dall’Europa. Basterebbe spostarsi nel Canton Grigioni.
Ma, allora, cosa si può fare? La prima cosa è tirare una linea netta su quel che fu e concentrarsi su quello che sarà. In Ticino c’è una legge, la LInn, che è stata fatta più che male. Perché è piovuta dall’alto senza tenere conto delle reali esigenze del mercato, dell’innovazione e della mentalità che serve a farla proliferare. Questo è un altro male: mentre in Italia (la tanto odiata Italia) il governo ha chiesto a Diego Piacentini (numero due di Amazon) di guidare la crescita del digitale, in Ticino l’innovazione viene affidata a commissioni che ne sanno meno di pochissimo. C’è dell’altro… Renzi è riuscito a farsi prestare Piacentini gratis e il patron di Amazon, Jeff Bezos, ha pure ringraziato il premier. Un prestito “in virtù degli ottimi rapporti con l’Italia”. I politici ticinesi pubblicano sui propri canali social le foto della Stabio-Arcisate, ridendo della pochezza italiana. Ora qualcuno dirà che sono risate ben spese e non fa una piega, però non contribuisce a creare buoni rapporti.
Lo scorso luglio sono stata in Israele dove è stata inaugurata la partnership tra una società italiana e il governo israeliano per aiutare chi ha buone idee ad incubarle/accelerarle al fine di trasformarle in prodotti spendibili sul mercato. Qualche mese fa ho letto un thread su Facebook che parlava di questo argomento, un webete luganese rispondeva più o meno così: “ah, io questi incubatori li conosco benissimo, si fanno pagare per farti lavorare”. Ora, chiunque ha finito la terza asilo senza dovere ripetere l’anno capisce che “pagare per lavorare” è una coglionata. In realtà gli incubatori e gli acceleratori, ma qui il discorso è vario, investono un po’ di denaro nelle aziende che creano in cambio di una parte del capitale azionario. Uno dei tanti motivi per cui spingeranno sul mercato le imprese che hanno fatto nascere.
Ho parlato delle tante opportunità offerte dal Ticino e davanti alla possibilità di trasferircisi a patto di assumere solo personale residente, con un occhio aperto sui disoccupati e sui rapporti con Supsi e USI, nessuno ha avuto niente da obiettare, davanti ad un’imposizione fiscale del 20-22%, cioè quella naturalmente applicata alle aziende.
Incubatori, acceleratori e investitori hanno creato in Europa, negli ultimi 5 anni, più di 300mila posti di lavoro, per lo più in aziende che investono miliardi in ricerca e fanno miliardi di fatturato. Aziende che applicano politiche salariali degne e mettono i collaboratori al centro di numerosi benefit.
È successo in tutta Europa, tranne in Ticino. Perché mentre altrove si guardava al futuro, la politica e le istituzioni ticinesi facevano la caccia alle streghe con il passaporto italiano.
Fatevene una ragione. È soltanto colpa vostra se al governo avete gente che vi prende per i fondelli e proliferano quelli che “si fanno pagare per farti lavorare”.
La chiave per rilanciare economia e occupazione è una nuova imprenditoria, non quella vecchia. Ma chi in Ticino si dà da fare per promuoverne cultura e diffusione, è supportato malissimo da tutto il Palazzo.
Apparso su “Gas, quello che in Ticino non ti dicono” 4/12/2016