Mese: settembre 2014

Widenius, c’è ancora tanto futuro per MySQL e i suoi derivati

Michael “Monty” Widenius è una delle menti di spicco del software open e, nonostante abbia 52 anni, è idealista quanto un ventenne. Nel 1995, un’era tecnologica fa, si è chinato su MySQL portandolo ad essere – nella sua versione client – il RDBMS (Relational Database Management System) più diffuso al mondo, arrivando ad insidiare giganti della caratura di Microsoft e Oracle. Nel 2008 MySQL AB, azienda fondata da Widenius, è stata acquistata da Sun Microsystems per un miliardo di dollari. Meno di un anno dopo – a causa di divergenze ritenute insanabili – “Monty” ha deciso di prendere un’altra strada. Nel frattempo Sun è stata acquistata da Oracle per la cifra di 7,4 miliardi di dollari; connubio che Widenius ha voluto impedire sollecitando l’antitrust tramite una petizione online. Missione parzialmente riuscita poiché Oracle ha potuto inglobare MySQL ma ha anche promesso che le relative politiche di licensing non sarebbero state riviste prima del 2015. Ai tempi della cessione a Sun Microsystems, fatta nell’esclusivo interesse del suo prodotto, Widenius ha preteso una clausola secondo cui MySQL non sarebbe stata ceduta a diretti concorrenti ma non ha potuto prevedere che uno di questi, Oracle per l’appunto, acquisisse Sun. Ancora oggi Widenius è convinto che il colosso di Larry Ellison voglia smantellare a poco a poco MySQL, togliendogli tutte quelle prerogative che lo rendono attrattivo. Non usa mezzi termini, Widenius, nell’argomentare questo suo punto di vista: «non ho mai voluto credere che MySQL potesse essere acquistato da chi preferisce ucciderlo piuttosto che prendersene cura; il calo di utenti attuale è imputabile a problemi di sicurezza che non vengono prontamente risolti e estensioni enterprise che non sono più distribuite gratuitamente».

Già nel 2009, con la sua uscita dagli effettivi di Sun Microsystems, Widenius si è rimboccato le maniche per dare vita a MariaDB, un fork di MySQL  e, per garantire che resterà sempre un software libero, nel 2012 è stata creata la MariaDB Foundation, di fatto proprietaria del marchio. L’azienda che segue lo sviluppo del RDBMS è la Monty Program AB, diretta dallo stesso Widenius e che, dopo la fusione con SkySQL impiega diversi sviluppatori provenienti da Sun Microsystems e da Oracle. Fusione avvenuta durante il mese di aprile del 2013 e salutata da Widenius con una frase emblematica: «creiamo la prossima generazione di database open source». É logico pensare –  in assenza di conferme – che la fusione è avvenuta anche per garantire il supporto agli utenti e ridurre i tempi di rilascio delle nuove versioni del software.

Widenius ha risposto ad alcune mie domande che meglio aiutano ad inquadrare sia il successo di MySQL sia il rapporto teso con Oracle.

Come ha fatto MySQL a tenere testa, per anni, ai giganti del settore?
“É stato possibile grazie a tre elementi che sono, oltre all’Open Source, un’assistenza aperta a tutti (anche a chi non aveva sottoscritto appositi contratti, nda) e un’organizzazione snella e capace. La cessione a Sun Microsystems è stata fatta proprio nell’ottica di fornire un migliore supporto agli utenti, fondamentale per la crescita di MySQL”.

Nel 2009, poi, l’acquisizione da parte di Oracle scombina i piani…
“Sì e no, perché il fatto che le licenze siano free è sinonimo di continuità. Il discorso può essere diverso per i pacchetti enterprise che, essendo a pagamento, possono subire  le decisioni commerciali assunte da Oracle”.

Una nuova avventura Open Source nel segno della continuità. Come sta andando?
“La MariaDB Foundation da’ ottime garanzie sia per lo sviluppo sia per il supporto del fork. Le cose stanno andando bene tanto è vero che, dopo un investimento di un milione di euro all’anno per tre anni, abbiamo raggiunto il punto di pareggio. Il denaro, che proviene da sponsor e partner, viene investito soprattutto per formare sviluppatori capaci di fare decollare MariaDB”.

Se dopo il 2015 Oracle decidesse di rivoluzionare le politiche di pricing di MySQL, quale potrebbe essere l’impatto su Open Data, Big Data e Cloud?
“Minimo, perché ci sono altre valide alternative a MySQL e anche a MariaDB, progetto su cui ovviamente contiamo molto. Vincerà comunque sempre la formula “free” rispetto alle ridicole politiche attuate da Oracle”.

Il duello a distanza tra Oracle-MySQL e MariaDB (e altri fork) è solo all’inizio. Resta fuori dalla mischia Redmond, solo relativamente nei pensieri di Widenius perché con il proprio RDBMS copre i sistemi operativi proprietari mentre, la sfida vera, si combatte sulle macchine non Microsoft.

E, in termini di opportunità future, c’è da scommettere che un campo di battaglia utile a scrivere le sorti della guerra saranno gli Open Data, tanto preziosi quanto ancora lontani dall’avere uno standard che ne coadiuvi diffusione ed utilizzo: anche in questo caso – almeno sulla carta – l’Open Source parte avvantaggiato e Microsoft sembra destinata ad alzare bandiera bianca. La versione Express di SQL (gratuita) supporta database limitati a 10 GB e un solo gigabyte di RAM per ogni istanza. Misure piuttosto limitate.

Michael Widenius Credit: James Duncan Davidson/O'Reilly Media
Michael Widenius
Credit: James Duncan Davidson/O’Reilly Media

Diritto all’oblio: Google “raccoglie idee” a Roma

Lo scorso mese di maggio, con la “sentenza Gonzalez”, la Corte europea di Giustizia ha stabilito che Google deve rispettare il diritto all’oblio, rimuovendo dal motore di ricerca le informazioni irrilevanti o fuorvianti che riguardano sia le persone fisiche sia quelle giuridiche. Si è aperto un dibattito di natura filosofica che Big G affronta pubblicamente sia sul web sia con dei dibattiti itineranti, uno dei quali si è svolto oggi a Roma sotto l’occhio interessato di Eric Schmidt, presente con la doppia veste di Presidente del Consiglio di Amministrazione di Big G e membro del comitato consultivo che deve trovare una soluzione compatibile con il volere della Corte europea.

Il punto di partenza è affidato ai numeri: delle oltre 90mila richieste di rimozione di informazioni, Google ne ha cassate la metà circa, il che significa che ha approvato l’altra metà delle richieste, scavalcando i diritti di trasparenza e informazione che sono i capisaldi attorno ai quali si snodano tutte le difficoltà che la sentenza comporta. Anche questo fa di tali dibattiti poco più di una strategia di marketing che sottolinea come “Google sia vicina agli europei” e intenda “trovare un equilibrio” che soddisfi le necessità di chi vuole essere informato e quelle di chi vuole essere dimenticato, confinando quindi la questione al paradosso dell’uovo e della gallina. Tra gli oratori l’unico intervento degno di nota è stato quello di Gianni Riotta che ha sottolineato come tale equilibrio sia frutto di un processo e non di un modello decisionale statico. Ciò che non è emerso però è che in quanto processo decisionale non può essere standardizzato e applicato da Google, che assurgendo a giudice monocratico assumerebbe un potere indescrivibile. La rimozione di un link dall’indice di Google deve essere eseguita materialmente dalle stanze di Mountain View ma deve essere autorizzata da norme civili, penali e solo a corredo di queste da un regolamento firmato da Big G in collaborazione con tutte le parti che – così come accade nelle comunità open – partecipano alla creazione di uno standard.

Il diritto all’oblio stride con la libertà di informazione, i diritti e i doveri di stampa: si tratta, di fatto, di strappare alcune pagine dai libri di storia (o di singole storie) o bruciarli del tutto. Non è questione che possa essere affrontata da Google con l’involontaria complicità di una ponziopilatesca Corte di giustizia Europea.