Lo scorso mese di maggio, con la “sentenza Gonzalez”, la Corte europea di Giustizia ha stabilito che Google deve rispettare il diritto all’oblio, rimuovendo dal motore di ricerca le informazioni irrilevanti o fuorvianti che riguardano sia le persone fisiche sia quelle giuridiche. Si è aperto un dibattito di natura filosofica che Big G affronta pubblicamente sia sul web sia con dei dibattiti itineranti, uno dei quali si è svolto oggi a Roma sotto l’occhio interessato di Eric Schmidt, presente con la doppia veste di Presidente del Consiglio di Amministrazione di Big G e membro del comitato consultivo che deve trovare una soluzione compatibile con il volere della Corte europea.
Il punto di partenza è affidato ai numeri: delle oltre 90mila richieste di rimozione di informazioni, Google ne ha cassate la metà circa, il che significa che ha approvato l’altra metà delle richieste, scavalcando i diritti di trasparenza e informazione che sono i capisaldi attorno ai quali si snodano tutte le difficoltà che la sentenza comporta. Anche questo fa di tali dibattiti poco più di una strategia di marketing che sottolinea come “Google sia vicina agli europei” e intenda “trovare un equilibrio” che soddisfi le necessità di chi vuole essere informato e quelle di chi vuole essere dimenticato, confinando quindi la questione al paradosso dell’uovo e della gallina. Tra gli oratori l’unico intervento degno di nota è stato quello di Gianni Riotta che ha sottolineato come tale equilibrio sia frutto di un processo e non di un modello decisionale statico. Ciò che non è emerso però è che in quanto processo decisionale non può essere standardizzato e applicato da Google, che assurgendo a giudice monocratico assumerebbe un potere indescrivibile. La rimozione di un link dall’indice di Google deve essere eseguita materialmente dalle stanze di Mountain View ma deve essere autorizzata da norme civili, penali e solo a corredo di queste da un regolamento firmato da Big G in collaborazione con tutte le parti che – così come accade nelle comunità open – partecipano alla creazione di uno standard.
Il diritto all’oblio stride con la libertà di informazione, i diritti e i doveri di stampa: si tratta, di fatto, di strappare alcune pagine dai libri di storia (o di singole storie) o bruciarli del tutto. Non è questione che possa essere affrontata da Google con l’involontaria complicità di una ponziopilatesca Corte di giustizia Europea.