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Abusi “made in Ticino”: basta una bugia per rovinare tre vite

Come avevo anticipato qui occorre mettere in evidenza come a Lugano l’ARP 8 sia capace di prendere decisioni ridicole a fronte del nulla. In questo caso “il nulla” è rappresentato dall’avvocato e mediatrice (!) Manuela Fertile che:

– ha costretto due ragazzi a ritirare dei doni davanti alle autorità ticinesi perché timorosa che il padre avesse inviato loro armi e droga;

– scrive nefandezze nei confronti del padre dei minori sapendo che la madre farà leggere loro la lettera CHE QUI SI ALLEGA, aggravando ancora di più lo status di PAS e mobbing genitoriale in cui i minori versano;

– non ha mai incontrato il padre dei minori, assumendosi così il rischio di scrivere profonde inesattezze ma evitando di assumersene le responsabilità.

La lettera è atroce: accusa il padre di avere aggredito verbalmente i figli. Cosa che l’ARP 8 ha accettato senza riserve anche se il padre è stato in grado di produrre testimonianze dirette. Per Clarissa Torricelli, presidente dell’ARP 8 e per il suo braccio destro, dottoressa D’Ottavio del Priore, la fantasiosa versione di un avvocato (mediatore!!) vale più di una testimonianza.

Nello stesso tempo, non paga e incurante delle responsabilità che dovrebbe assumersi, indica il padre quale motivo delle sofferenze psicologiche dei figli. Ragazzi ai quali la madre (e l’entourage famigliare materno) ha raccontato ogni nefandezza sul padre: arrivando a fare credere loro che il genitore sia ricercato sia dalla mafia (alla quale ha fatto qualche torto) sia dall’Interpol.

Ad aggravare la situazione c’è da segnalare l’ennesimo abuso: si accusa il padre di essere una croce anche per la psiche dei figli sapendo che al genitore è negato anche il sacrosanto diritto di avere informazioni circa lo stato di salute dei minori. Una violazione di qualsiasi norma del diritto, probabilmente anche in Paesi molto meno civili della Svizzera. Una sassaiola fatta contro un uomo a cui è negato ogni diritto di difesa. Come classificare tutto ciò?

Anche questi dettagli sono nelle mani dell’ARP 8, autorità che ancora oggi sostiene non ci siano, da parte della madre, intenzioni di screditare la figura paterna agli occhi dei figli.

E cosa fanno le autorità? Non rispondono. Stanno in silenzio e chiedono al padre di inviare richieste scritte che ignorano, sistematicamente, da 5 anni. (!)

E Norman Gobbi, il ministro da cui dipendono le rovinose ARP, sa tutto e tace.

Un muro di gomma, quello costruito dalle ARP, che va smantellato. Con la collaborazione di tutti.

Invito ancora una volta a continuare: mandatemi le vostre testimonianze. Tutto questo deve cambiare.

A Lugano c’è un buco in cui spariscono i documenti

Delle ARP luganesi ho già scritto. Ciò che ancora non ho citato è quell’enorme buco che ingoia i documenti importanti. Solo quelli importanti, quelli in base ai quali le autorità ticinesi decidono di impedire ad un genitore di avere rapporti coi figli.

Un padre chiede copia di una perizia psicologica che sarebbe stata effettuata sulla sua persona. Condizionale d’obbligo, perché la perizia non c’è. Eppure l’ARP 8 (in questo caso la dottoressa Daniela D’Ottavio Del Priore) si è basata sulla perizia (che non c’è) per fare patire agonie indicibili a minori e genitore.

Una testimone scrive all’ARP 8 di Lugano narrando fatti di gravità assoluta: in quel caso una ex moglie grida delle assurdità (lesive dei più elementari diritti) all’ex marito, in presenza dei figli. La signora in questione nega tutto, dicendo che un poliziotto ha assistito alla scena e che è pronto a smentire la testimonianza che a Lugano non sono però in grado di esibire. L’aggressione della ex moglie passa quindi inosservata, in virtù della testimonianza inesistente di un poliziotto (!).

E a Lugano stanno a guardare. La domanda (che girerò a giorni tramite la stampa ticinese) all’onorevole Gobbi, a capo del Dipartimento delle Istituzioni a cui fa capo l’ARP 8 è: “non è ora di chiudere quell’enorme buco in cui spariscono i documenti?”

Così è (fin troppo) facile

Muro di gomma dell’Autorità Regionale di Protezione 8 (ARP), uno degli organi ticinesi preposti, tra le altre cose, ad intervenire laddove – su richiesta di parte – vi siano tensioni nei rapporti tra coniugi divorziandi o ex coniugi.

A capo di ben due delle 18 ARP c’è Clarissa Torricelli, già richiamata all’ordine quando svolgeva il ruolo di Procuratore Pubblico, perché aveva dimenticato di fornire alla difesa delle informazioni di primaria importanza all’interno di un processo. Quando ha scelto di non ricandidarsi al ruolo di pubblica accusatrice la città di Lugano l’ha nominata a capo dell’ARP 8 e l’ARP 3, entrambe piuttosto tristemente note in Ticino a causa delle decisioni prese da chi la presiede e dal suo braccio destro, Daniela D’Ottavio del Priore, già balzata agli onori delle cronache, a sua volta, per avere visto casi di maltrattamenti su minori laddove è stato dimostrato non essercene nemmeno l’ombra.

Che, tra le diatribe tra genitori divorziati, ci sia una parte più scontenta dell’altra è una norma quasi standard, ciò non toglie che le istituzioni dovrebbero assumere posizioni assolutamente trasparenti, fosse solo per non esporsi a critiche che nulla hanno a che fare con gli scopi per i quali esistono. All’ARP 8 di Lugano così non è: una delle parti lese ha chiesto che le fossero comunicati i dati utili affinché, ad una specialista invocata dall’ARP 8, fosse consegnato un ordine di apparizione in tribunale, come persona informata dei fatti. Silenzio. L’ARP 8 si nasconde, non risponde, fa finta che nulla sia accaduto.

Il perché appare incomprensibile, tra i membri dell’ARP 8 e la specialista che dovrebbe comparire in tribunale non ci sono legami tali da mettere in discussione il lavoro svolto da quest’ultima. Oppure no? E se fosse questo il motivo per cui l’ARP 8 non risponde?

L’inciviltà che porta alla moderazione

Il giornalismo è una missione. Come tale va esercitato con coscienza, passione e responsabilità. L’inciviltà di una commentatrice, il cui intervento potrebbe avere strascichi penali, mi costringe – contro il mio volere – a ricorrere alla moderazione degli interventi dei lettori.

Non sarebbe dovuto accadere, è una cosa che vivo come un grosso limite, un limite alla spontaneità, alla legittimità della collaborazione e della discussione civile tra chi scrive e chi legge. Come spesso succede, le colpe di pochi ricadono su tutti. Ed è un grosso peccato.

Ciò non ha però ripercussioni sulle indagini giornalistiche che sto  seguendo: se le autorità ticinesi e la signora Elena Paltrinieri hanno responsabilità, saranno gli organi competenti a stabilirlo. Qui potrete leggerne gli sviluppi.

Per avere risposte dalle autorità ticinesi è necessario muovere la magistratura italiana, oltre a segnalare alla Commissione europea la situazione, affinché vengano accertati eventuali abusi ed eventuali responsabilità. E questa, per il Cantone Ticino, è già una grossa sconfitta: dovere varcare il confine per dare risposte legittime ai cittadini è una situazione che merita più di una riflessione.

Intanto vi invito a continuare ad inviarmi email con le informazioni che ritenete importanti, come già state facendo. Saranno trattate, come sempre, nel pieno rispetto delle norme e della coscienza professionale.

Grazie a chi ha partecipato, a chi sta partecipando e a chi parteciperà. Le cose si possono cambiare.

Elena Paltrinieri ammonita dall’Ordine degli Psicologi

Un minimo di giustizia c’è. La dottoressa Elena Paltrinieri è stata ammonita dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia (OPL).

Il caso di Linda Greco (vedi qui) del quale si sono interessati anche “Le Iene” e del padre svizzero (vedi qui), hanno in comune la dottoressa Elena Paltrinieri, psicologa di Lissone sul cui operato si è chinato l’OPL, ammonendola ufficialmente limitatamente al secondo dei due casi qui elencati.

In attesa che la Procura si interessi del suo operato, vanno sottolineati alcuni aspetti che ancora non appaiono chiari:

1. nel caso del padre svizzero a cui è negato ogni contatto coi figli (anche telefonico), la dottoressa Elena Paltrinieri ancora non è in grado di dimostrare di avere parlato proprio con la persona che ha posto sotto esame. La perizia è stata fatta al telefono, potrebbe avere parlato con chiunque.

2. la telefonata grazie alla quale la signora è giunta ad una diagnosi, nel testo scritto dall’OPL diventano misteriosamente due

3. un comportamento corretto sarebbe stato quello di scrivere di non potere giungere a considerazioni riguardo al soggetto, poiché non ha avuto modo di vederlo di persona. In tale caso sarebbe toccato alle autorità svizzere prendere le dovute misure. Invece la dottoressa Paltrinieri ha deciso di lanciarsi in una diagnosi, ben sapendo che senza riscontri scientifici questa sarebbe potuta essere profondamente sbagliata. Infatti i diversi test scientifici a cui si è sottoposto il padre non mostrano nessuno squilibrio mentale.

4. i referti medici in mio possesso, firmati dalla la dottoressa Paltrinieri, sono pieni di considerazioni personali che non hanno niente a che vedere con la scienza e con le procedure in uso. Perché c’è chi – in Italia come in Svizzera – li ritiene attendibili?

5. nelle sue tesi difensive davanti all’OPL la dottoressa Paltrinieri dice che “ha accettato, per la prima volta nella sua esperienza professionale, di svolgere un colloquio telefonico”. Alle autorità chiedo espressamente di valutare oggettivamente questa teoria difensiva: un medico che diagnostica una malattia senza i dovuti esami può rifugiarsi dietro all’assenza di precedenti?

6. la dottoressa Paltrinieri sostiene anche di essersi basata sui racconti oggettivi fatti dalla moglie dell’uomo a cui nega di avere rapporti coi figli. Basta il racconto oggettivo di una parte (ovviamente) interessata? Anche su questo le autorità devono chinarsi e accertare il reale svolgimento dei fatti.

Questa vicenda potrebbe approdare nelle aule di tribunale. Qui leggerete tutti gli sviluppi.

Intanto, in Svizzera, tutto tace. Le autorità si nascondono dietro ad un silenzio che evidentemente ritengono sufficiente a difendere una posizione, la loro, indifendibile. Intanto emergono nuovi particolari con strascichi penali, dei quali potete leggere nei prossimi giorni.

Après la Suisse, la France. Prove generali di primavera europea (?)

Lo scorso 9 febbraio gli svizzeri hanno detto no alla libera circolazione con “l’iniziativa contro l’immigrazione di massa” promossa dall’UDC elvetica e appoggiata nel Cantone Ticino da Lega e Verdi. Il popolo ha espresso ciò che altri Paesi (questa volta membri UE) pensano e ancora non hanno detto. Vero, la votazione è passata per poco meno di 20mila schede favorevoli, è anche vero che non in tutti i Cantoni svizzeri l’emergenza è sentita nello stesso modo. Gli Stati periferici, quelli geograficamente prossimi ai Paesi confinanti avvertono tutta l’emergenza che l’immigrazione porta con sé. In Svizzera il tasso di popolazione straniera è del 23% (1,8milioni di persone) mentre in Italia gli stranieri censiti dall’ISTAT a fine 2012 erano 4,3milioni, in termini percentuali poco più del 7%. Vero che in Italia il numero di stranieri irregolari è certamente più alto di quanto non lo sia in Svizzera ma noi, in Italia, il fenomeno che vivono al di là del confine elvetico lo possiamo solo intuire. Fenomeno che va amplificato e contestualizzato: ad esempio, nel Cantone Ticino, dei 170mila posti di lavoro disponibili 60mila circa sono occupati da frontalieri, coloro che entrano in terra elvetica per lavorare ma vivono in Italia (tecnicamente in un’area compresa nei 30 chilometri dai valici). Vero anche che “stranieri” e “frontalieri” sono due cose diverse, i primi infatti risiedono nel Paese che li ospita ma con la votazione del 9 febbraio gli svizzeri costringono il Consiglio federale (il Governo) a ridisegnare gli accordi UE sulla libera circolazione, cosa che a Berna sono refrattari a fare e che pone in imbarazzo l’esecutivo elvetico vigente, piuttosto filo europeista. Una conseguenza più che probabile, oltre al contingentamento degli stranieri, sarà anche la limitazione del numero dei frontalieri. Ma tutto è ancora da scrivere e quindi aperto a diverse possibilità.

Questo lungo preambolo per introdurre il sondaggio fatto in Francia, raccolto dal portale elvetico “20 minuti” (in francese), laddove il 59% degli intervistati si dice d’accordo con il modello svizzero. Qui entriamo nel mondo delle probabilità: probabilmente anche da noi in Italia i sì sarebbero superiori ai no. Il razzismo non c’entra nulla.

Cosa ci insegna la Svizzera
La prima cosa è l’avere rimesso la chiesa al centro del villaggio. Il popolo elvetico vuole un limite alle circolazioni straniere in patria, sentimento diffuso che il Governo federale o non ha avvertito o ha fatto finta di non volere avvertire. Gli svizzeri hanno comunque ribadito che il Governo deve rappresentare il volere popolare e non perseguire politiche estranee a quelle che i cittadini vogliono. Tutto ciò va ribadito: in Italia una simile “rivoluzione silente, democratica e pacifica” la facciamo solo su Facebook.

Volere che l’assetto politico nazionale protegga la popolazione non ha nulla a che vedere né con la xenofobia né con il razzismo; questo alla Svizzera non può insegnarlo nessuno perché la presenza di stranieri ha contribuito alla sua fortuna economica durante la seconda metà del secolo scorso, ora i tempi sono cambiati e, ancora una volta, con il voto del 9 febbraio il popolo ha voluto salvaguardare quella sovranità elvetica che – stando alle urne – il Governo non ha saputo gestire. Sentimenti quali la sovranità popolare e nazionale noi italiani dobbiamo ancora impararli, siamo un Paese giovane che è stato unito ancora prima che si propagasse il concetto di “unità”.

Oltre a ciò la Svizzera spalanca le porte già aperte del malcontento che circola in Europa. L’UE pretende che gli Stati membri si assoggettino a logiche di più ampio respiro; cosa che sulla carta può essere ragionevole (anche se non sempre) ma che può esigere, appunto, con gli Stati membri nel cui elenco la Confederazione elvetica non è annoverata.

Ha ragione Blocher, ex Consigliere federale, che spiega in modo chiaro e semplice quali possibilità si presentano alla Svizzera.

Il malcontento dilaga un po’ ovunque, vuoi per la morsa dell’Euro, vuoi per il salvataggio delle banche, per un liberalismo economico che crea precarietà e arbitrarietà, oltre ad  una grave forma di analfabetismo politico. La Svizzera è corsa ai ripari, noi no.

ARP 8 (Lugano), le istituzioni e il loro degrado

Quando si parla della Svizzera viene in mente un Paese armonico, di ricchezza, giustizia ed equità. Così non è. Al contrario le istituzioni, la cui esistenza è motivata dall’essere a disposizione dei cittadini, si comportano come giudici in terra al cospetto dei  quali occorre obbedire, inchinandosi, davanti ad ogni sorta di mostruosità.

Un caso emblematico: a tutela dei minori, a Lugano, esistono due istituzioni. Intervengono, tra le altre cose, nel caso in cui genitori divorziandi o divorziati, avessero recriminazioni che in qualche modo possono ledere la tranquillità dei figli. Posizione più che delicata che prevede, per essere degnamente trattata, altrettanta delicatezza. Doti per nulla chiare all’ ARP 8 (Autorità Regionale di Protezione 8) che prima impedisce ad un padre (sulla scorta di perizie fasulle) di avere un rapporto sano coi figli – rapporto che stando al più autorevole esperto di alienazione genitoriale è viziato dall’intervento della madre dei fanciulli – e poi, facendo leva sul fatto che i bambini si sentono emotivamente distanti dal padre, vieta ogni tipo di rapporto, foss’anche telefonico. Ognuno tragga le sue conclusioni.

La decisione – che il padre definisce “ridicola” – è stata presa da Clarissa Torricelli, ex PM capace di nascondere alla difesa prove determinanti a favore delle persone che portava a processo. I giudici hanno avuto modo di criticare aspramente l’operato della stessa e, a quanto si può evincere, per toglierla dalle aule del tribunale, si è deciso di posizionarla altrove (in questo caso all’ARP 8 di Lugano), comunque libera di prendere decisioni che, stando a quanto è stato possibile ricostruire, sono piuttosto discutibili.

Direte voi: ma qualcuno interviene, suvvia… la Svizzera è un Paese equo e libero…

No. Se ne lavano tutti le mani.

Ecco copia della lettera, opportunamente rivisitata affinché i nomi essenziali fossero omessi, che il padre ha inviato all’ARP 8 senza ricevere risposta. I tempi sono stretti, certo. Ma ho in mano copie di lettere inviate dal padre 5 anni fa a cui l’ARP 8 non ha ancora risposto. (Cinque anni, ovvero oltre 1.800 giorni, per NON rispondere a domande e richieste talmente facili che persino le leggi svizzere ritengono legittime).

20131120 – Stato salute bambini

Caso Bomio, undici anni al pedofilo

Bellinzona, Cantone Ticino, Svizzera.

Falvio Bomio, persona molto conosciuta nel bellinzonese, è un pedofilo e la giustizia gli ha presentato il conto: undici anni. Undici.

L’accusa, sorretta dal pubblico ministero Amos Pagnamenta, ne ha chiesti 14, la difesa 6. Pochi? Tanti? Pena commisurata?

Pena commisurata a quanto il codice penale svizzero permette di infliggere. Ma facciamo un passo indietro.

Durante il processo sono emersi fatti che, a buona ragione, hanno fatto sgranare gli occhi. Bomio sceglieva le sue vittime e annotava su un quaderno ogni particolare, e ha agito indisturbato per anni tanto che è stato chiamato alla sbarra per rispondere solo di una parte dei suoi reati, giacché gli altri – commessi decine di anni fa – sono ormai caduti in prescrizione.

E qui occorre aprire una parentesi: in Svizzera esiste un disegno di legge che vuole vietare ai colpevoli di pedofilia di potere svolgere attività (professionali o non) con fanciulli. Disegno di legge tardivo che viene contestato da parte del parlamento e anche da parte delle aree politiche. E qui servono le parentesi quadre: che Paese è quello in cui si tergiversa sulla protezione di chi, da solo, non è capace di tutelarsi? Chiuse entrambe le serie di parentesi.

Undici anni ad una persona, Bomio, che ha commesso una serie impressionanti di crimini odiosi. Fuori dai denti: la pedofilia è forse il reato più efferato: c’è premeditazione, c’è volontà, uccide lasciando in vita.

Al processo di Lugano, iniziato a Lugano il 5 agosto e conclusosi il 9, era presente anche una delegazione delle vittime di Bomio, rappresentate dall’avvocato Davide Corti. I loro racconti hanno di certo contribuito a mostrare l’efferatezza del crimine e, a anni di distanza, per molti di loro è stato impossibile trattenere le lacrime (speriamo, almeno, sia stato un pianto liberatorio). La pedofilia crea uomini morti che respirano e camminano. Anche da questo punto di vista, pur osservando i parametri imposti dalle leggi, undici anni sono niente. Niente.

E riapriamo una parentesi: se il giudice ha comminato una pena applicabile alle norme, a chi tocca il compito di rivedere tali norme, le cui pene prevedono detenzioni risibili?

Torniamo al processo: il PM Amos Pagnamenta ha fatto una lunga requisitoria, lunghissima. Ore e ore e sforzi immani per mostrare tutta la brutalità dei gesti di Bomio il quale riteneva  “il territorio di caccia” la società di nuoto di cui era presidente e nella quale adescava le sue giovani vittime, così come chiamava “hall of fame” il libro in cui annotava ogni cosa. Mostruoso? Malato? Non tocca a noi dirlo. E’ toccato al giudice Marco Villa, delle Assisi Criminali di Lugano. Il giudice ha lavorato bene o male? E’ stato equo, ha riconosciuto anche delle piccolissime attenuanti a Bomio, impresa di certo non facile e missione non per tutti, quella di andare incontro ad un uomo che per anni ha abusato di tutti. Dei bambini, dei loro genitori che credevano fossero in buone mani, della collettività.

Pagnamenta? Ha fatto un lavoro perfettibile, al contrario di quanto viene ritenuto dalla stampa elvetica che, in coro, gli ha rivolto un plauso. Requisitoria da re della retorica, con scivoloni incredibili. Alla voce “pericolo di recidività”  Pagnamenta vuole battere il record di salto in alto ma l’asta gli si spezza in mano: “forte della sua potenza finanziaria potrebbe addirittura, una volta pagato il conto con la giustizia, andare all’estero e vivere nella bambagia“. Cosa vuole dire? Che se Bomio fosse stato meno abbiente allora avrebbe chiesto una pena più mite? Ciò che in teoria voleva essere un pensiero sopraffino ha, con ogni probabilità, sortito l’effetto contrario, aprendo le porte al giudice Villa per valutare le attenuanti. Troppa carne al fuoco moltiplica il rischio che qualche bistecca bruci. E così è stato.

E la difesa? Disastrosa. Un colabrodo (e ci sarebbe da aggiungere “per fortuna”, ma ciò esula dagli aspetti legali e riguarda solo quelli umani).

L’Avvocato Maria Galliana, già PM, ha assunto la difesa di Bomio e, nel contempo, è presidente della commissione di coordinamento per l’aiuto alle vittime. Quindi da che parte stava? Ha chiesto, per il suo assistito, una pena tra i 5 e i 6 anni di reclusione a vantaggio di Bomio, ovviamente, lasciando quindi da parte il suo ruolo istituzionale. C’è qualcosa di losco sotto? Certamente no, ma così si presta il fianco a critiche gratuite che, peraltro, distolgono l’attenzione da ciò che è importante: le vittime di Bomio.

Questo ci riporta alle autorità ticinesi che sono solite incappare in incidenti di percorso simili: nel quadro di una ricerca giornalistica che sto conducendo, è emerso che per fare delle perizie psicologiche vengono scelti professionisti “amici” di chi le commissiona, in un caso è stata scelta una psicologa che fa parte di un’associazione il cui sito web è gestito dal marito del commissionante. In un altro caso, un divorzio, il figlio della coppia è assistito da un curatore che fa rapporto alle autorità chiamate a decidere sul suo affidamento. Questa persona è la moglie di un collega del padre del piccolo. I rapporti della curatrice dipingono la madre come manipolatrice e il padre come un santo, omettendo che il genitore ha costretto il figlio a scendere dall’automobile facendolo ritornare a casa da solo e altre amenità simili.

C’è qualcosa di marcio sotto? Sicuramente no, ma con tutti gli psicologi e curatori che operano attivamente, proprio quei due dovevano essere scelti?

C’è un’altra tipicità ticinese, quella delle interrogazioni parlamentari a cui – a volte – il Governo non risponde. Perché? Non si sa. Forse non ritiene necessario farlo, forse non sa cosa rispondere… e anche nel caso dell’avvocato difensore di Bomio è partita l’interrogazione parlamentare, presentata da Silvano Bergonzoni e Lara Filippini. Affaire à suivre.

Intanto Bomio è stato riconosciuto colpevole di (una parte) dei suoi reati. L’altra parte, cospicua, numericamente elevata, è caduta in prescrizione. Quanto valgono decine di stupri perpetrati a bambini indifesi e incapaci di comprendere ciò che stava accadendo loro? Undici anni di prigione e 167mila franchi (135mila euro al cambio attuale) per torto morale, danni materiali e spese.

Giusto, sbagliato, sufficiente? Impossibile dirlo, una cosa però la si può sostenere: un Paese incapace di tutelare i minori deve fermarsi a riflettere e cambiare profondamente.

 

Autorità Regionali di Protezione

La Svizzera prevede la tutela dei minori e degli adulti. In tale senso nel Cantone Ticino  sono state create 18 Autorità Regionali di Protezione (ARP), istituzioni in cui viene deciso il destino delle persone che vi ricorrono.

Molte delle persone che, volenti o nolenti, hanno a che fare con una delle 18 ARP si lamentano a grande voce del loro operato.

Il Cantone Ticino ha poco più di 330mila abitanti, 18 ARP sembrano quindi un numero spropositato e, a maggior ragione, appare spropositato il numero di associazioni o movimenti che le contestano apertamente.

C’è il “Movimento Papageno“, c’è l’ “Associazione Genitori Non Affidatari” (AGNA) e, tra le altre, spicca anche l’ “Associazione Inseme Attivi per la Co-genitorialità” (AIACO). Ognuna di queste (e ciò vale anche per quelle non citate) cerca di fare valere i diritti dei minori con modalità e strategie diverse.