Lo scorso 9 febbraio gli svizzeri hanno detto no alla libera circolazione con “l’iniziativa contro l’immigrazione di massa” promossa dall’UDC elvetica e appoggiata nel Cantone Ticino da Lega e Verdi. Il popolo ha espresso ciò che altri Paesi (questa volta membri UE) pensano e ancora non hanno detto. Vero, la votazione è passata per poco meno di 20mila schede favorevoli, è anche vero che non in tutti i Cantoni svizzeri l’emergenza è sentita nello stesso modo. Gli Stati periferici, quelli geograficamente prossimi ai Paesi confinanti avvertono tutta l’emergenza che l’immigrazione porta con sé. In Svizzera il tasso di popolazione straniera è del 23% (1,8milioni di persone) mentre in Italia gli stranieri censiti dall’ISTAT a fine 2012 erano 4,3milioni, in termini percentuali poco più del 7%. Vero che in Italia il numero di stranieri irregolari è certamente più alto di quanto non lo sia in Svizzera ma noi, in Italia, il fenomeno che vivono al di là del confine elvetico lo possiamo solo intuire. Fenomeno che va amplificato e contestualizzato: ad esempio, nel Cantone Ticino, dei 170mila posti di lavoro disponibili 60mila circa sono occupati da frontalieri, coloro che entrano in terra elvetica per lavorare ma vivono in Italia (tecnicamente in un’area compresa nei 30 chilometri dai valici). Vero anche che “stranieri” e “frontalieri” sono due cose diverse, i primi infatti risiedono nel Paese che li ospita ma con la votazione del 9 febbraio gli svizzeri costringono il Consiglio federale (il Governo) a ridisegnare gli accordi UE sulla libera circolazione, cosa che a Berna sono refrattari a fare e che pone in imbarazzo l’esecutivo elvetico vigente, piuttosto filo europeista. Una conseguenza più che probabile, oltre al contingentamento degli stranieri, sarà anche la limitazione del numero dei frontalieri. Ma tutto è ancora da scrivere e quindi aperto a diverse possibilità.
Questo lungo preambolo per introdurre il sondaggio fatto in Francia, raccolto dal portale elvetico “20 minuti” (in francese), laddove il 59% degli intervistati si dice d’accordo con il modello svizzero. Qui entriamo nel mondo delle probabilità: probabilmente anche da noi in Italia i sì sarebbero superiori ai no. Il razzismo non c’entra nulla.
Cosa ci insegna la Svizzera
La prima cosa è l’avere rimesso la chiesa al centro del villaggio. Il popolo elvetico vuole un limite alle circolazioni straniere in patria, sentimento diffuso che il Governo federale o non ha avvertito o ha fatto finta di non volere avvertire. Gli svizzeri hanno comunque ribadito che il Governo deve rappresentare il volere popolare e non perseguire politiche estranee a quelle che i cittadini vogliono. Tutto ciò va ribadito: in Italia una simile “rivoluzione silente, democratica e pacifica” la facciamo solo su Facebook.
Volere che l’assetto politico nazionale protegga la popolazione non ha nulla a che vedere né con la xenofobia né con il razzismo; questo alla Svizzera non può insegnarlo nessuno perché la presenza di stranieri ha contribuito alla sua fortuna economica durante la seconda metà del secolo scorso, ora i tempi sono cambiati e, ancora una volta, con il voto del 9 febbraio il popolo ha voluto salvaguardare quella sovranità elvetica che – stando alle urne – il Governo non ha saputo gestire. Sentimenti quali la sovranità popolare e nazionale noi italiani dobbiamo ancora impararli, siamo un Paese giovane che è stato unito ancora prima che si propagasse il concetto di “unità”.
Oltre a ciò la Svizzera spalanca le porte già aperte del malcontento che circola in Europa. L’UE pretende che gli Stati membri si assoggettino a logiche di più ampio respiro; cosa che sulla carta può essere ragionevole (anche se non sempre) ma che può esigere, appunto, con gli Stati membri nel cui elenco la Confederazione elvetica non è annoverata.
Ha ragione Blocher, ex Consigliere federale, che spiega in modo chiaro e semplice quali possibilità si presentano alla Svizzera.
Il malcontento dilaga un po’ ovunque, vuoi per la morsa dell’Euro, vuoi per il salvataggio delle banche, per un liberalismo economico che crea precarietà e arbitrarietà, oltre ad una grave forma di analfabetismo politico. La Svizzera è corsa ai ripari, noi no.